Fisco

Cinque anni per chiedere il rimborso della Tari gonfiata

di Luigi Lovecchio

Dopo la risposta del Mef tocca ai comuni decidere cosa fare sulla quota variabile della Tari. Se i comuni dovessero decidere di aderire all’interpretazione delle Finanze (si veda il Sole 24 Ore di ieri), la strada obbligata sarebbe quella dell’autotutela. Occorrerebbe pertanto correggere d’ufficio le delibere tariffarie relative agli anni d’imposta ancora “aperti”. Va però subito detto che, poiché il prelievo sui rifiuti è “a somma zero” per il comune, che va sempre in pari, gli effetti di questa rideterminazione non sarebbero propriamente neutri per i cittadini. Ciò che si modificherebbe è la ripartizione tra le varie utenze domestiche dei costi che sono coperti dalla quota variabile di tariffa. Emergerebbe così una variazione delle tariffe che in alcuni casi sarebbe a vantaggio dei contribuenti (quelli con una o più pertinenze), ma in altri a svantaggio (quelli privi di pertinenze). Peraltro, anche nell’ipotesi delle modifiche a vantaggio, la differenza da rimborsare risulterebbe comunque inferiore rispetto a quella che si avrebbe a tariffe invariate. Non è ovviamente da escludere la possibilità che l’ente non condivida la tesi ministeriale e dunque non ne tenga conto.

Nei comuni in cui è o è stata applicata la tariffa puntuale, invece, il problema non dovrebbe porsi, poiché la quota variabile è calcolata sulla base dei rifiuti effettivamente conferiti al servizio pubblico, e non sulla base del numero degli occupanti.

Tanto premesso, vediamo quali sono i rimedi a disposizione del contribuente qualora non ci fosse una iniziativa del comune (l’ipotesi per ora più probabile).

La tassa rifiuti è riscossa normalmente su liquidazione d’ufficio, cioè sulla base degli avvisi “bonari” che vengono inviati per posta ordinaria dal comune o per conto di questo. Se il contribuente ha versato la cifra riportata nell’avviso ha cinque anni di tempo per chiedere il rimborso. Se il comune non risponde all’istanza, decorsi novanta giorni, si può impugnare il silenzio-rifiuto davanti alla Commissione tributaria provinciale competente per territorio. Il ricorso può essere proposto comunque non oltre cinque anni dalla formazione del silenzio-rifiuto (il termine di prescrizione della tassa rifiuti). Laddove il comune invece notificasse un diniego espresso di rimborso, la contestazione dovrebbe essere mossa non oltre i 60 giorni dalla notifica del diniego stesso.

Se il contribuente non ha pagato l’avviso bonario, di regola viene notificato un atto di liquidazione contenente la sola tassa, oltre le spese di notifica. In questo caso, occorre impugnare la liquidazione entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica. In difetto, la pretesa comunale si consolida.

Un’altra ipotesi può riguardare il contenzioso pendente. In tale eventualità, se il soggetto passivo non ha sollevato subito, in sede di motivi di ricorso, la questione della illegittimità della duplicazione della quota variabile, non potrà più farlo.

Spesso la tassa rifiuti è gestita da un soggetto diverso dal comune (ad esempio, il gestore del servizio rifiuti). In tale eventualità, qualora il terzo agisca a nome proprio (concessionario del servizio), tutti gli atti andranno indirizzati a questi, e non al comune. Anche il ricorso dovrà essere proposto contro il concessionario, senza necessità di chiamare in causa anche l’ente locale.

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