Condominio

È presunto il danno dell’occupazione abusivo di un alloggio che sia nella massa fallimentare

di Francesco Machina Grifeo

Nel caso in cui l'immobile occupato abusivamente sia acquisito all'attivo di un fallimento, il giudice del merito può presumere l'esistenza del danno qualora sia dimostrata la volontà del curatore di rientrare in possesso del bene. Lo ha stabilito la prima sezione della Cassazione, sentenza 19655/2015, arricchendo di un altro tassello il contrasto giurisprudenziale sulle conseguenze dell'occupazione senza titolo di un bene.
Il caso
La questione partiva dalla controversia promossa dalla Curatela del fallimento di una S.n.c. per ottenerne la condanna alla restituzione e al risarcimento dei danni per l'occupazione abusiva di un immobile di proprietà della società, il cui possesso era stato trasferito alla odierna ricorrente in esecuzione di un contratto preliminare di compravendita dal quale però il curatore intendeva sciogliersi. Nel corso del giudizio di primo grado, l'occupante si aggiudicò l'immobile all'asta pubblica, riuscendo ad ottenere il rigetto della domanda sul presupposto che il fallimento «non avesse mai manifestato inequivocabilmente la volontà di sciogliersi dal contratto». Per la Corte di appello, al contrario, la stessa citazione in giudizio manifestava «in modo inequivocabile» tale volontà, da qui la condanna a pagare oltre 12mila euro per l'occupazione senza titolo.
La motivazione
Contro questa decisione la ricorrente ha proposto il consueto argomento secondo cui l'attore non aveva provato l'«effettività del danno» lamentato e poi liquidato. Non aveva, per esempio, dimostrato di aver perso delle occasioni di guadagno a causa del fatto che l'immobile non era libero. La vicenda, dunque, riproponeva il contrasto tra i due diversi orientamenti. Per il primo, il danno da occupazione senza titolo è «in re ipsa», per il secondo, invece, il danno non può coincidere con la detenzione, essendo questa soltanto l'«evento costitutivo del fatto produttivo del danno conseguenza». Tuttavia, anche per quest'ultimo indirizzo, definito dalla Corte «più rigoroso», la valutazione, «in definitiva», è rimessa al giudice di merito, «che può al riguardo avvalersi di presunzioni, gravi, precise e concordanti». Così, nel caso affrontato, prosegue la sentenza, «non è privo di significato, per valutare la plausibilità della presunzione, il fatto che la ricorrente, occupando l'immobile, si sia trovata in posizione privilegiata per potersene aggiudicare la proprietà a confronto con altri possibili concorrenti».

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