Condominio

Non può essere automatico il danno da mancato godimento

Non solo si ha l’obbligo di provare il danno non patrimoniale, ma anche quello relativo al patrimonio

di Rosario Dolce

Le vicende immobiliari - si sa - sono sempre ingarbugliate specie quando presuppongono gli atti di dominio e la ricostruzione della storia, almeno ventennale, per escludere l'usucapione sollevata da un terzo, oltre che questioni risarcitorie legate ai cosiddetti “vizi di evizione”. La Cassazione, con la recente ordinanza 24383/2021, tratta proprio una questione similare riflettendo sugli esatti confini di una proprietà compravenduta, dell'usucapione opposto da parte di un “condominio” (non da parte dei condòmini… che vi avevano parcheggiato le autovetture per un periodo ultraventennale), e, dall'altra parte, del diritto al risarcimento del danno da parte di chi ha subito l'apparente spossessamento dell'area, specie nei confronti del venditore dell'area, se non degli occupanti abusivi.

Invero, proprio su questo ultimo aspetto vale la pena soffermarsi, nella misura in cui i giudici di legittimità rassegnano le modalità attraverso cui è possibile formulare una richiesta risarcitoria di pagamento, senza confidare troppo sull'assunto per cui il danno è insito nel mancato godimento dell'immobile venduto (in termini tecnici, si dice che il danno è in re ipsa).Ebbene, esaminiamo nel dettaglio la motivazione riporta in ordinanza.

Le motivazioni della Corte
I giudici di legittimità, in punto, ricordano che ciascun proprietario ha pieno diritto di usare e godere della cosa propria secondo la naturale destinazione della stessa, per cui qualsiasi intervento di un terzo diretto a limitare tale uso e godimento costituisce turbativa del diritto di proprietà sul bene.Tale situazione legittima il proprietario a chiedere non solo la tutela in forma specifica, situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, ma anche il risarcimento dei danni.In dottrina e in giurisprudenza spesso si arriva alla conclusione che il danno, in tale ipotesi, è in re ipsa, in quanto automatica conseguenza della limitazione del godimento e della diminuzione temporanea del valore della proprietà, senza neppure che vi sia necessità di una specifica attività probatoria, salva concreta determinazione del danno stesso in sede di liquidazione, cui eventualmente procedere anche in via equitativa.

In tal senso, l’azione risarcitoria si dice volta a porre rimedio all’imposizione di una servitù di fatto, causa di una inevitabile perdita di valore del fondo che si produce per l’intero periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell’abuso.Dall'altra parte, tuttavia, non si può revocare il dubbio che anche i danni non patrimoniali vanno provati nella loro effettiva esistenza e coesistenza. In punto, i giudici di legittimità rammentano un filone parallelo – per come definito - con cui si nega l’astratta risarcibilità in re ipsa dei danni subiti dal proprietario per la perdita o la diminuzione della disponibilità del bene.

La necessità di provare il danno
La necessaria correlazione del rapporto causale intercorrente tra “condotta materiale”, “evento lesivo” e “conseguenza dannosa”, deve essere dimostrata anche in tema di danno non patrimoniale o patrimoniale (Cassazione 13071/2018; Cassazione 31233/2018; Cassazione 11203 /2019). E, come chiarisce la Cassazione «(…) la richiesta di risarcimento patrimoniale correlata alla limitazione del godimento ed alla diminuzione temporanea del valore della proprietà, impone, per scongiurare la meccanica identificazione del danno risarcibile con l’evento dannoso, almeno l’allegazione dei fatti che devono essere accertati (anche mediante – ricordano gli ermellini - ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio), dovendo diversamente rigettarsi».

« Nella specie, dalla sentenza impugnata si ricava appunto che il Xxxxxxx non avesse adempiuto nemmeno al minimo onere di allegazione che potesse consentire ai giudici del merito di far uso delle presunzioni sull’esistenza dei danni collegati al mancato utilizzo dell’area di parcheggio, e il ricorso, in particolare nel secondo motivo, non specifica, agli effetti dell’articolo 366, comma 1, n. 6, Codice procedura civile, il “come” e il “quando” i fatti posti a sostegno della correlata pretesa risarcitoria, fossero stati analiticamente precisati dall’attore nel giudizio di primo grado prima della maturazione delle preclusioni assertive e di quelle istruttorie».

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