Condominio

Detrazioni, prestiti e tagli in bolletta: tutti i conti del 110%

di Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

Riqualificare un’abitazione unifamiliare – facendola passare dalla classe energetica alla F alla B – può costare 85.700 euro. Spesa che si traduce in un superbonus di 94.270 euro (pari al 110%). Per rendere efficiente un condominio di 21 appartamenti con riscaldamento centralizzato, invece, possono servire 40mila euro per unità immobiliare, cui corrisponde un bonus di 44mila euro. È una sorta di voucher in moneta fiscale quello introdotto dallo Stato con il decreto Rilancio, e i proprietari sono liberi di scegliere come utilizzarlo: scaricandolo direttamente dalle imposte (in cinque anni); cedendolo a una banca o un altro soggetto privato; chiedendo all’impresa di “scontarlo” dalla fattura per i lavori.

Le simulazioni dell’ecobonus al 110% elaborate da Cremonesi Srl per Il Sole 24 Ore del Lunedì consentono ora di quantificare questo voucher nel caso di alcuni edifici tipo. Calcolando anche un altro vantaggio non fiscale di lungo periodo: il risparmio sulla bolletta energetica, che nell’ipotesi dell’abitazione monofamiliare verrebbe più che dimezzata (da 1.521 a 697 euro annui).

L’ostacolo della pianificazione iniziale

Dalle simulazioni emerge subito un punto cruciale. Il superbonus è la più ricca, ma anche la più complessa agevolazione edilizia mai introdotta in Italia. Per sfruttarla, serve una pianificazione iniziale di tutto rispetto. Occorre innanzitutto un’analisi di fattibilità: ad esempio, gli edifici con più unità di un solo proprietario sono stati esclusi dalle Entrate, così come quelli con abusi edilizi non sanati.

Serve poi una progettazione degli interventi, che includa la scelta delle tecnologie più adatte (caldaia a condensazione o pompe di calore integrate con il fotovoltaico, ad esempio), ma anche una stima dei costi e dei risultati in termini di efficienza energetica, perché bisogna migliorare di almeno due classi la “pagella verde” dell’edificio.

Molti professionisti e imprese in queste settimane sono sommersi dalle richieste dei clienti. D’altra parte queste analisi sono attività che richiedono tempo e denaro. E sono detraibili solo se poi si fanno i lavori al 110 per cento. C’è anche chi offre valutazioni gratuite – magari solo preliminari o abbozzate – ma pretende in cambio l’impegno del proprietario a non rivolgersi ad altri in caso di esecuzione dell’intervento.

Completata la valutazione iniziale, il potenziale committente dovrà scegliere come “incassare” il voucher. Ad esempio, se l’assemblea del condominio citato all’inizio vota i lavori (basta la maggioranza degli intervenuti e un terzo dei millesimi) ogni condomino può decidere cosa fare dei suoi 44mila euro di superbonus. Come spiegano le Entrate, per interventi sulle parti comuni degli edifici, non è necessario che il condominio nel suo insieme opti per lo sconto in fattura o la cessione del credito corrispondente alla detrazione. Anche se è evidente che le scelte differenti complicano molto la gestione, a partire dall’obbligo per l’amministratore di precostituire il fondo lavori con cui pagare l’impresa.

A chi conviene non cedere il bonus

Usare in modalità tradizionale un superbonus da 44mila euro significa detrarre dall’Irpef 8.800 euro all’anno per cinque anni. Considerando che di solito i contribuenti hanno anche altri sconti fiscali, per non sprecare la detrazione serve un reddito di almeno 40-50mila euro annui (fascia in cui, secondo le Statistiche fiscali delle Finanze, l’imposta media netta è di 10.380 euro).

È facile prevedere, comunque, che il grosso dei contribuenti sceglierà di cedere il bonus (o di scontarlo dalla fattura – anche in parte – se il fornitore è d’accordo). Anche perché l’uso diretto nel 730 o nel modello Redditi è impossibile per gli incapienti (pensionati al minimo, ad esempio) e i contribuenti nel regime forfettario (oltre 1,4 milioni di partite Iva a fine 2019).

Stando ai fogli informativi diffusi da alcuni grandi istituti di credito, il superbonus di 44mila euro potrebbe essere comprato dalla banca a un prezzo intorno ai 41mila euro (il 102-103% della spesa). Ma questo presuppone che il committente paghi di tasca propria i 40mila euro per i lavori, utilizzando poi il “saldo attivo” di mille euro per coprire eventuali costi non detraibili (come la parcella dell’amministratore).

Per non pagare l’impresa con denaro proprio, invece, occorre farsi finanziare con un prestito ponte. Le condizioni sono diverse e il mercato ancora all’inizio, soprattutto per le operazioni di taglia maggiore. Ma si può già rilevare che il costo del prestito è tendenzialmente più alto per i condomìni e le imprese, rispetto ai proprietari di villette e case unifamiliari.

Su un finanziamento di 40mila euro al condomino, gli interessi annui possono pesare per 2.500 euro, trasformando quel “saldo attivo” di mille euro in un esborso finale di 1.500. Un onere che fa svanire il miraggio del “tutto gratis” ma che – anche sommato ai costi non detraibili – risulta poca cosa rispetto all’incremento di valore dell’immobile. E che, comunque, si recupera nel giro di alcuni anni con il risparmio in bolletta: nel caso della nostra simulazione, circa 468 euro annui.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©