Condominio

Computer, controlli e «rotazioni»: così lo smart working dopo il 31 luglio

di Aldo Bottini

Le aziende riaprono, ma non per questo il ricorso allo smart working è una parentesi che si chiude. Anzitutto il lavoro agile è, nella fase di progressiva uscita dal lock down, un’importante misura di prevenzione del rischio da contagio, fortemente raccomandata dai protocolli sanitari e dai documenti tecnici Inail, perché funzionale alla rarefazione delle presenze e al distanziamento sociale nei luoghi di lavoro. Gli stessi ispettori del lavoro sono invitati a verificare che si faccia ricorso allo smart working in tutti i casi in cui ciò è possibile.

Inoltre, è stata considerevolmente estesa la platea dei lavoratori che possono invocare un diritto a lavorare in modalità agile, originariamente limitata a lavoratori invalidi e immunodepressi (o con familiari in tali condizioni), e che oggi include anche i genitori di figli minori di 14 anni (Dl 34/2020, articolo 90).

Ma soprattutto molte aziende, dopo questa grande sperimentazione di massa del lavoro agile, si stanno interrogando se abbia veramente senso tornare, anche dopo la fine dello stato di emergenza, a lavorare come prima. Twitter e Facebook hanno già annunciato che faranno dello smart working, anche in futuro, la modalità ordinaria di lavoro. Ma anche chi non intende (o non può) adottare un approccio così radicale, non può non chiedersi, sicuramente in questa fase ma anche in prospettiva, se non sia il caso di invertire la prospettiva nella maggioranza dei casi sin qui seguita, che prevedeva generalmente uno-due giorni alla settimana in smart working e il resto della settimana in presenza. Si tratta, in sostanza, di partire da un punto di vista diverso e verificare, caso per caso, quali siano effettivamente le necessità di presenza fisica sul luogo di lavoro, sperimentando uno smart working “ritagliato” sulle esigenze di ogni azienda e di ogni singolo reparto, che lasci libero il lavoratore di decidere se lavorare nei locali aziendali o altrove, limitando la presenza obbligatoria in ufficio ai soli casi di effettiva necessità. La legge sul lavoro agile (81/2017), incentrata sull’accordo individuale, consente questo genere di flessibilità e di adattamento alle specifiche situazioni. Anche per questo non andrebbe modificata.

Accordi da rivedere

Occorre dunque immaginare di rivedere gli accordi individuali e i regolamenti pre-pandemia (per chi li aveva), e di rinegoziare gli eventuali accordi sindacali, alla luce dell’esperienza fatta. Intanto è possibile utilizzare questi mesi in cui perdura lo stato di emergenza, ed è quindi ancora possibile applicare lo smart working “semplificato”, come una sorta di test, elaborando e impartendo ai lavoratori coinvolti istruzioni adeguate e flessibili che considerino anche, ove possibile e necessario, un’alternanza tra lavoro da remoto e presenza fisica nei luoghi di lavoro.

È però ancor più importante recuperare lo spirito originario dello smart working, un po’ offuscato dal lock down. Lavoro agile non significa affatto lavorare da casa, anche se questo è quello che abbiamo fatto nell’emergenza, ed è bene ricordarlo per non regredire al vecchio telelavoro. Lo smart working è anzitutto uno strumento manageriale innovativo, che implica il passaggio da una valutazione del lavoro basata sul tempo e sulla presenza a una focalizzata sui risultati della prestazione lavorativa. Significa in sostanza lavorare per obiettivi. E questo presuppone che gli obiettivi vengano correttamente assegnati e il loro raggiungimento controllato. Serve quindi una cultura manageriale adeguata, ma servono anche strumenti regolamentari ben congegnati.

Policy sui controlli a distanza

Oltre ai regolamenti e agli accordi individuali, è necessario predisporre un’adeguata policy sull’uso degli strumenti informatici e sulle modalità di controllo a distanza, nel rispetto delle previsioni dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Senza questa policy, non è possibile utilizzare i dati acquisiti attraverso gli strumenti di lavoro usati dal lavoratore agile.

Codice disciplinare

Non meno importante (anche per la protezione dei dati aziendali) è un codice disciplinare che individui le condotte sanzionabili, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali.

Anche l’elaborazione di una completa informativa sui rischi per la salute e la sicurezza, che per questo periodo è stato possibile fare in forma standard, andrà attentamente considerata per tutelare il lavoratore ma anche per porre l’azienda al riparo da futuri contenziosi. Insomma, se si vuole mettere a frutto l’esperienza di questi mesi di smart working “forzato”, c’è molto lavoro da fare ed è bene non attendere la fine dell’emergenza.

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