Condominio

Sulle teleassemblee serve più coraggio, e le associazioni non possono chiudersi

di Daniela Zeba


Pandemia, Covid, quarantena, smartworking...le parole più frequenti negli ultimi due mesi. Molto è cambiato, tante occasioni di riflessione, tanti stimoli per ripensare la professione, tante opportunità di miglioramento, progresso ed evoluzione...tutto buttato alle ortiche. Oggi ne abbiamo la certezza.

Dopo il turbinio di notizie, interpretazioni, DL, DPCM, codici ATECO, teleassemblea sì, no, forse, ma, chissà... riunioni (se non c'è un medico), privacy, rischio di impugnazione, rischio per la salute...siamo fermi, nell'impasse su cosa fare, con le idee sempre più confuse.

Le idee chiare le hanno solo i proprietari, rappresentati da Confedilizia, che prontamente ha emesso linee guida per le riunioni “dal vivo” immediatamente dopo l'uscita del DL 33.
Gli amministratori no, loro si scannano sui social, dando vita alle ipotesi più fantasiose: assemblee nei cortili, aie e giardini, affitto sale cinema, quando oggi la tecnologia è a portata di click, in totale sicurezza per la salute e la serenità di chi magari è ancora in quarantena, di chi appartiene alle fasce più deboli e di chi risiede fuori regione, al momento impossibilitato a muoversi. Ad oggi le video assemblee sono la soluzione più comoda, economica e “sicura” per la salute, tra quelle ipotizzabili, almeno fino alla fine dello stato di emergenza, ma ovviamente noi, categoria dimenticata, non possiamo, nemmeno una volta, fare una scelta smart.

O meglio: c'è chi coraggiosamente ha scelto, in libera autonomia, di optare per il progresso, stanca di aspettare linee guida che non sono mai arrivate, perché la nostra rappresentanza associativa non si è mai espressa fino a ieri, ed anche lì in rappresentanza parziale.
Delle tre alternative possibili: assemblee in videoconferenza (o al massimo miste), assemblee tradizionali e posticipo assemblee, cosa ha scelto la “Consulta dei dodici meno uno”? Di non decidere e di attendere.

Attendere un legislatore che, in mancanza di linee guida chiare da chi dovrebbe rappresentarci, quando ha legiferato in materia di condominio, ha solo fatto danni, affidandosi ad una giurisprudenza ondivaga, per non dire schizofrenica.

Nel frattempo?
Pressati da Confedilizia da una parte, esigenze indifferibili dall'altra, l'amministratore orfano, e sempre solo nei momenti cruciali, deve decidere individualmente cosa fare, assumendosi rischi e responsabilità, individuando caso per caso, qual è il male minore.
Rischio d'impugnazione, che peraltro esiste qualunque cosa lui decida di fare, oppure rischio di mettere a repentaglio la sua salute e quella dei suoi clienti, nel caso qualcosa vada storto nell'applicazione dei protocolli di sicurezza?

Io non ho dubbi al riguardo del “male minore”, molti colleghi invece sì.
Dubbi invece ne ho sulla reale rappresentatività democratica della Consulta appena costituita e sulla sua reale efficacia di incidere nelle scelte politiche a vantaggio della nostra categoria.

Se tanto mi dà tanto, le costituenti associazioni sono quelle che si ritengono “pure”, perchè nel loro acronimo non appaiono lettere diverse dalla “A” per definire un amministratore, ma di fatto sfornano, attraverso i loro corsi, figure professionali diverse, come i revisori, e propongono corsi per condòmini.

Ritengo necessaria un'azione “rivoluzionaria” che parta dalla base. Saremo mai in grado, colleghi evoluti ed indipendenti, di creare un libero movimento di opinione con spirito di inclusione nel nostro vero interesse?

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