Condominio

Pignoramento non notificato al comproprietario, attenti a qualificare l’azione

La pronuncia di primo grado con cui veniva definito il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, non è in alcun modo impugnabile con l'appello.

di Fabrizio Plagenza

Nell'ambito della riscossione dei crediti condominiali nei confronti condomini morosi accade, a volte, che la morosità accumulata dal condomino sia tale da rendere opportuno procedere con il pignoramento immobiliare sull'immobile sito in condominio. Capita spesso, inoltre, che l'immobile pignorato sia in comproprietà tra marito e moglie.

Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1152/2020, depositata in data 21 gennaio 2020, ha affrontato il caso di un ricorso depositato dal comproprietario dell'immobile pignorato, al quale non erano stati notificati gli atti che precedono il pignoramento. La procedura esecutiva da porre in essere per giungere all'esecuzione forzata (quale ad esempio il pignoramento immobiliare), infatti, presuppone la notifica di alcuni atti e, nello specifico, il titolo esecutivo e l'atto di precetto. A seguire, occorre notificare l'atto di pignoramento.

Comproprietario senza notifiche
Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1152/2020, il ricorrente lamentava che, nonostante fosse comproprietario dell'immobile pignorato ed altresì, condebitore, assieme alla moglie, per gli oneri condominiali effettivamente non pagati, non avesse ricevuto la notifica di alcuno degli atti menzionati.

La questione, dunque, nasce da un pignoramento immobiliare promosso dal Condominio sull'immobile dei due condòmini a cui seguiva l'opposizione formalizzata da uno dei due comproprietari che, come detto, sosteneva la nullità della procedura esecutiva, per non aver provveduto, il Condominio, a notificargli né il titolo esecutivo, nè l'atto di precetto e né il pignoramento.

In primo grado, dopo che veniva richiesta ma rigettata l'istanza di sospensione della procedura esecutiva, il Tribunale rigettava l'opposizione.

La sentenza di rigetto veniva appellata dal ricorrente. Nel corso del giudizio d'appello, la moglie del ricorrente decedeva e la procedura nel frattempo si estingueva tanto che il ricorrente chiedeva che venisse dichiarata cessata la materia del contendere, essendo venuto meno l'interesse alla definizione della causa.

Tuttavia, la Corte d'Appello di Genova adita, «previa qualificazione dell'opposizione originariamente proposta come opposizione agli atti esecutivi», escludeva che potesse essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, pur richiesta, dovendosi ritenere questione pregiudiziale e, dunque, da affrontare e decidere, la ammissibilità o meno dell'appello proposto.

Avendo la Corte d'Appello qualificato quale opposizione agli atti esecutivi l'originaria opposizione promossa dall'appellante, non restava che dichiarare l'inammissibilità dell'appello su questa considerazione procedurale : secondo quanto espressamente previsto dall'articolo 618 del codice di procedura civile ed, in particolare, dal terzo comma del predetto articolo secondo cui «Sono altresì non impugnabili le sentenze pronunciate a norma dell'articolo precedente primo comma».

L'articolo fa riferimento proprio alle sentenza che decidono le opposizioni agli atti esecutivi, previste dall'articolo 617 del codice di procedura civile. Va detto, infatti, che i giudizi di opposizione agli atti esecutivi si concludono con sentenza non impugnabile con gli ordinari mezzi di impugnazione, ma solo con il ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.

In Cassazione
Nel caso affrontato dalla Suprema Corte di Cassazione, il ricorrente, nel lamentare la mancata notifica, nei suoi confronti, del titolo esecutivo nonché dell'atto di precetto e dello stesso pignoramento immobiliare, aveva chiaramente proposto, in primo grado, un'opposizione agli atti esecutivi, disciplinata dal citato articolo 617 del codice di procedura civile. Conseguentemente, la sentenza che aveva rigettato l'opposizione doveva essere impugnata con il ricorso per Cassazione e non con l'appello. Da ciò deriva la decisione della Corte d'Appello di Genova che decideva di rigettare il ricorso in secondo grado.

Innanzi la Corte di Cassazione, il condomino cercava di far emergere un'errata qualificazione giuridica che la Corte d'Appello aveva dato dell'opposizione, sostenendo che il ricorrente non aveva eccepito vizi formali (propri del ricorso nelle forme dell'articolo 617 del codice di procedura civile) ma, al contrario, che lo stesso aveva proposto opposizione per contestare il diritto ad agire esecutivamente nei suoi confronti, o meglio, in capo alla quota di sua proprietà sul bene.

Eccepiva, infatti, che la sua opposizione era da qualificarsi non come opposizione agli atti esecutivi ma come opposizione all'esecuzione (prevista dall'articolo 615 del codice di procedura civile) oppure come opposizione di terzo all'esecuzione (prevista dall'articolo 619 del codice di procedura civile).

Se solo, riteneva il ricorrente, la Corte d'Appello avesse “compreso” che la sua opposizione era volta a far accertare la «sua qualità di comproprietario del bene staggito e condebitore», la Corte d'Appello, a suo dire, avrebbe compreso che il suo reale intento era quello di contestare il diritto a subire l'esecuzione forzata.

In realtà, in primo grado, il Tribunale ha correttamente qualificato il ricorso quale opposizione agli atti esecutivi, in quanto il ricorrente si era limitato effettivamente a contestare dei vizi procedurali, quali la notifica dei vari atti senza, tuttavia, contestare il merito ed, in particolare, la debenza delle somme richieste dal condominio.

Anzi, facendo leva sul fatto di essere comproprietario e condebitore delle somme dovute al condominio stesso, altro non faceva che limitare la propria opposizione alle residue lamentele, legate, come detto, soli a vizi formali.

La sentenza n. 1152/2020, inoltre, ricorda che la pronuncia di primo grado con cui veniva definito il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, non è in alcun modo impugnabile con l'appello.

Altro principio che viene sottolineato, è quello secondo il quale ai fini dell'impugnazione esperibile è necessario fare riferimento alla qualificazione dell'azione che sia stata espressamente data dal giudice che ha emesso il provvedimento, potendo subentrare la qualificazione del giudice dell'impugnazione soltanto nel caso di qualificazione da parte del primo giudice che sia omessa, soltanto apparente ovvero generica (per tutte: Corte di Cassazione, sezione civile, 14 maggio 2007, n. 11012; Corte di Cassazione, sezione civile 20 novembre 2012, n. 20297).
Ma v'è di più.

Secondo consolidata giurisprudenza, la Corte di Cassazione deve rilevare d'ufficio una causa di inammissibilità dell'appello, che il giudice del merito non abbia provveduto a riscontrare: infatti, «non si può riconoscere, all'appello inammissibilmente spiegato (con relativo passaggio in giudicato della sentenza di primo grado), alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione» (tra le altre, si veda Corte di Cassazione, sezione civile, 2 febbraio 2010, n. 2361).
Attenzione, dunque, a cosa lamentare in giudizio.

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