Condominio

Il condomino con troppo potere è legittimato dai patti d’acquisto

di Selene Pascasi

Anche i proprietari degli appartamenti componenti il residence pagano i lavori per i locali (piscina, campo da tennis, garage…) di proprietà dell'albergo ma di uso comune. Lo afferma la Corte di cassazione con sentenza n. 25841 del 14 ottobre 2019. (relatore Varrone).
La controversia parte dalla domanda proposta da alcuni condòmini tesa ad accertare la nullità o comunque l'annullabilità della delibera di ripartizione delle spese. La richiesta, bocciata dal tribunale, viene riproposta in appello i cui giudici, però, non cambiano impostazione: il motivo formulato non solo era inammissibile (perché non specificava le ragioni dell'irregolarità) ma inammissibile.
In particolare, chiarisce la Corte, si discuteva dell'eccesso di potere che il gruppo maggioritario dei condòmini aveva esercitato nell'affidare degli ingenti lavori di adeguamento del fabbricato ad un'impresa priva della necessaria esperienza e di un'adeguata solidità patrimoniale. Ditta, peraltro, legata proprio a quel gruppo di condòmini. Ma, viste le carte e riletta la giurisprudenza sul sindacato sulle delibere assembleari condominiali rispetto al legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo deliberante, era emerso che nessuna delibere contestate presentava il reclamato vizio di eccesso di potere.
Esse, infatti, riguardavano scelte discrezionali, magari opinabili, dell'organo assembleare il quale – si puntualizza – ben poteva stabilire di assegnare un appalto ad un'impresa che non forniva eccellenti garanzie di buon esecuzione del lavoro o che era vicina ad uno o più condòmini. Ma anche il fatto che le spese dei lavori, come marcato, fossero state poste a carico di tutti i partecipanti nonostante riguardassero locali di proprietà individuale, era motivato dalla circostanza che nello stabile diversi appartamenti formavano un residence ed un albergo. E la società che gestiva l'hotel era proprietaria sia di locali strumentali all'attività ricettiva che, in via esclusiva, di altri locali (piscina, sala conferenze, palestra, campi da tennis o garage) destinati per regolamento condominiale alla fruizione di tutti i condòmini. Quei lavori di adeguamento alla normativa antincendio, allora, non erano necessari solo perché all'interno del fabbricato era ospitato l'albergo ma perché rispondevano all'interesse dell'intera comunità. Trattandosi, poi, di lavori obbligatori, dato che a esigerli era una norma imperativa, essi erano eseguibili anche senza il consenso dei condòmini, che si sarebbero potuti esprimere unicamente su tempi e modi di esecuzione.
Peraltro, ciascun partecipante era stato informato, fin dal momento dell'acquisto, della presenza di un albergo all'interno dello stabile e, quindi, dell'eventualità di esser chiamato a contribuire alle spese di adeguamento necessarie per la particolare destinazione di una parte dell'immobile.
Ma la soluzione adottata in appello non spegne la lite e il fascicolo, su iniziativa di uno dei condòmini, arriva sul tavolo della cassazione: non era giustificata, lamenta con ricorso, l'attribuzione a tutti delle spese occorrenti per le opere di salvaguardia dello stabile dal pericolo di incendi. Di tali esborsi, denuncia, andavano onerati unicamente i soggetti che vi esercitavano l'attività potenzialmente pericolosa. Oggetto dei lavori, inoltre, erano porzioni private per cui era illegittima la delibera che aveva accollato le spese all'intera collettività. Ricorso respinto. La Corte di appello, rileva la Cassazione, aveva coerentemente sostenuto che i locali adibiti a piscina, sala proiezione, sala per conferenze, sala giochi, palestra e garage erano di proprietà esclusiva.
Tuttavia, su quei beni veniva riconosciuto il diritto d'uso in capo a tutti i condòmini, compresi i proprietari degli appartamenti, ed erano state approvate nuove tabelle millesimali da cui emergeva che ogni partecipante dovesse provvedere ai relativi esborsi. La questione, in sostanza, era “uscita” dai binari non avendo il ricorrente dato congrua valenza al diritto d'uso e godimento per essersi limitato a sostenere che le spese sui beni di proprietà esclusiva spettassero solo ai relativi proprietari e non all'intero condominio.
Era proprio in quel collegamento con il diritto d'uso, invece, che si nascondeva il nodo della lite tenuto conto che quei beni erano stati inclusi, con tanto di specifica nelle tabelle millesimali, tra i beni relativi ai servizi comuni. Su quei beni, pertanto, conclude la cassazione, la proprietà esclusiva concorreva con una comunione di godimento riconosciuta in favore di tutti i partecipanti, inclusi i proprietari dei residence. E se ogni condomino che ricava utilità dalla cosa deve sopportarne le spese di conservazione seppure in misura proporzionale alla sua proprietà, il ricorso andava bocciato.

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