Condominio

L’abuso edilizio non si sana con il consenso del condominio

di Anna Nicola

Poniamo il caso del condomino che esegue interventi per installare una veranda e che detti lavori siano poi stati diversi rispetto al contenuto dell'autorizzazione a suo tempo ottenuta dal Comune: ti chiedi se è opportuno presentare al Comune una domanda di permesso di costruire in sanatoria o se occorre procedere in diverso modo. Il tecnico a cui ti rivolgi propende per la prima soluzione perché ti permette di evitare di incorrere nel reato di abuso edilizio, peraltro evitando le eventuali denunce degli altri condomini.
In Comune affermano che è necessario essere muniti del verbale dell'assemblea di condominio che autorizza i lavori.
Questo è il pensiero di molti, pensiero errato per vari motivi.

La normativa urbanistica e il piano regolatore del Comune devono essere rispettati ma ciò non vuol dire che occorre il consenso del condominio, essendo le relative normative in ambiti diversi e autonomi. Non vi è alcuna norma di diritto amministrativo che subordina la sanatoria o il permesso al consenso dell'assemblea di condominio e pertanto al deposito del relativo verbale di approvazione dei lavori. Le autorizzazioni comunali devono essere emesse senza che occorra la documentazione condominiale perchè i rapporti tra vicini hanno rilevanza privatistica e non devono interessare il Comune, che non è tenuto ad effettuare accertamenti sull'esistenza e validità di diritti reali, essendovi la clausola di salvaguardia generale, prevista dall'art. 11, comma 3, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, che fa salvi i diritti dei terzi quando vi sia dubbio sul titolo privatistico di un immobile. Questa disposizione sancisce infatti che <<il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi>>.
Occorre che il progetto sia in regola sotto il profilo edilizio e urbanistico, non potendo l'ente amministrativo domandare documentazione che attiene a sfere differenti. Resta sempre salvo il diritto dei condomini o dei vicino di contestare che le opere sono in violazione di altri ambiti, quale appunto il condominio
Chi esegue interventi sulla sua proprietà deve rispettare i seguenti vincoli: non creare rischi alla stabilità dell'immobile; non arrecare danni al decoro architettonico dell'edificio.
Il nuovo art. 1122 c.c. dispone che <<Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio>>
Non solo
Il condomino può eseguire lavori sulle parti comuni per ottenere un migliore e più intenso utilizzo del proprio immobile se non preclude un pari utilizzo per gli altri, non altera la destinazione d'uso della parte oggetto di lavori
In ambito condominiale ciò è possibile nei limiti dell'art. 1102 c.c., il cui testo così recita: << Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.>>
Qualora le opere fossero contrarie a queste disposizioni, il condominio può far condannare il singolo alla demolizione delle nuove opere

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