Condominio

Non si scava nel condominio, neppure sotto le proprietà private

di Anna Nicola

Ci si interroga se un condomino possa utilizzare il sottosuolo dell'edificio, magari con interventi di scavo, senza che sia intervenuta l'autorizzazione dell'assise condominiale
Si tratta di un tema affrontato dal Supremo Collegio con la sentenza del 30 marzo 2016 n. 6154, laddove l'edificio aveva agito in giudizio per ottenere la cessazione dello spoglio e la conseguente reintegra nel possesso alla luce del contenuto del regolamento di condominio che sanciva: «costituiscono proprietà comune… il terreno sul quale sorgono gli edifici, le loro fondazioni, strutture portanti…».
Alla luce di questa clausola è conferita natura condominiale al sottosuolo.
La Suprema Corte ha evidenziato che ai sensi dell'art. 1117 c.c. (che fornisce come è noto un elenco non esaustivo delle parti comuni) il sottosuolo, da intendersi quale zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è alla base dell'edificio, deve essere considerata di proprietà condominiale.
Di conseguenza il condomino male ha fatto a procedere a lavori nel sottosuolo senza il placet dei suoi comproprietari.
Volendo riprendere i principi generali, si richiama l'art. 840 c.c., il cui testo è il seguente: <<la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino>>. Nel caso del condominio, questi deve essere considerato proprietario mentre il limite ultimo del proprietario del piano più basso è il sedime del fabbricato.
Infatti il suolo su cui sorge l'edificio, “se il contrario non risulta dal titolo”, deve considerarsi comune, per espressa previsione dell'art. 1117 c.c. (Cass. 25 ottobre 2005 n. 5085)
Da ciò consegue che al proprietario esclusivo del piano più basso, ovunque collocato (interrato, seminterrato, al livello del piano di campagna) è impedito di effettuare, senza il consenso unanime di tutti i condomini, qualsiasi scavo o ampliamento per un maggiore godimento della sua unità immobiliare.
Qualsiasi opera sotto l'edificio andrebbe a ledere il diritto di comproprietà, in quanto priverebbe gli altri condomini dell'uso e del godimento, “anche soltanto potenziale” di una parte comune.
La Cassazione ha affermato che il principio sancito dall'art. 840 c.c., secondo cui <<la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino>> non è applicabile nei condomini, poiché il suolo su cui sorge l'edificio, per il disposto dell'art. 1117 cod. civ., è oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani.
Dai giudici di legittimità, viene precisato che <<il sedime del fabbricato costituisce dunque il limite ultimo delle proprietà individuali, le quali non si espandono usque ad infera, neppure se sono ubicate nel piano più basso (o in una sua porzione)>>
<<…nel senso che si tratta della superficie su cui insiste immediatamente la parte infima dello stabile, ossia l'area, delimitata orizzontalmente dalle proiezioni delle mura perimetrali, sulla quale poggia il pavimento del piano più basso, sia che questo emerga in tutto o in parte dal terreno circostante, sia che si trovi più in profondità, in modo da risultare completamente interrato, sicché in ogni caso non è consentito al proprietario di quel piano (o di una sua porzione) estendere verticalmente il suo dominio, appropriandosi il corrispondente sottosuolo, il quale costituisce anch'esso una delle “parti comuni dell'edificio>>
Inoltre <<le proprietà individuali restano delimitate verticalmente dalla superficie di appoggio del più basso dei piani dell'edificio, anche quando le fondazioni (intese sia come il prolungamento nel terreno dei muri maestri perimetrali e interni, o dei pilastri portanti, sia come la platea orizzontale che eventualmente collega tali strutture) arrivano ancora più in profondità: corrispondentemente al linguaggio comune e tecnico, l'art. 1117 cod. civ. indica il “suolo” e le “fondazioni” come precise e ben distinte parti dell'edificio, sicché è arbitrario far coincidere necessariamente il limite inferiore dell'uno con quello che raggiungono le altre>>.
In merito all'art. 1102 c.c. la Cassazione ha precisato che <<dall'ambito delle attività consentite dalla norma citata vanno senz'altro escluse quelle che si risolvono nell'attrazione di un bene comune o di una sua parte nella sfera di disponibilità esclusiva di un singolo (v., per tutte, Cass. 14 ottobre 1998 n. 10175), come appunto avviene quando si diminuisce la consistenza originaria di un muro maestro e si ingloba il volume vuoto così ottenuto in una porzione immobiliare di proprietà individuale: di quello spazio, in tal modo, viene sia alterata la destinazione, sia impedito un paritario uso da parte degli altri condomini, i quali non vi hanno accesso>>
Infatti <<le limitazioni poste dall'art. 1102 c.c. al diritto di ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, rappresentate dal divieto di alterare la destinazione della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, vanno riguardate in concreto, cioè con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intende farne e alle modalità di tale utilizzazione, essendo, in ogni caso, vietato al singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri condomini>>. (Cass. civ. Sez. II, 28-04-2004, n. 8119)

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©