Condominio

Rumori in condominio, come provare il reato

di Rosario Dolce

In tema di rumori in condominio, occorre fare riferimento alle previsioni di cui all'articolo 659 del Codice penale. La norma prevede due distinte ipotesi di reato:
- quella di cui al primo comma, la quale punisce il comportamento di colui il quale “mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici”;
- nonché quella di cui al secondo comma, che invece punisce il fatto di “chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'Autorità”.
Ora, mentre la fattispecie contemplata dal comma uno punisce il disturbo della pubblica quiete da chiunque cagionato, peraltro con modalità espressamente e tassativamente determinate, la fattispecie disciplinata dal comma 2 punisce le attività rumorose, industriali o professionali, esercitate in difformità dalle prescrizioni di legge o dalle disposizioni dell'autorità (si veda anche la Corte di Cassazione, Sezione. 3, n. 23529 del 13/05/2014).
Altro elemento distintivo tra le due fattispecie è la fonte del rumore.
Per cui ove rumore provenga dall'esercizio di una professione o di un mestiere, la condotta rientra nella previsione del secondo comma del citato articolo per effetto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell'autorità, presumendosi in sé la turbativa della pubblica tranquillità.
Di contro, laddove le vibrazioni sonore non siano causate dall'esercizio dell'attività lavorativa, ricorre l'ipotesi di cui all'articolo 659 del Codice penale, comma uno, per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo (Corte di Cassazione, Sezione uno, 17.12.1998, n. 4820/99).
In particolare, quest'ultimo disposto della norma regolamenta l'ipotesi avente per oggetto il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone e richiede l'accertamento in concreto dell'avvenuto disturbo.
L'ipotesi contemplata nel comma secondo, invece, concerne l'esercizio di professione o mestiere rumoroso, per cui l'accertamento prescinde dalla verificazione del disturbo, ricorrendo una sorta di presunzione legale di rumorosità collegata al verificarsi dell'esercizio dell'attività in sé e, tanto, ben al di là dei limiti tempro - spaziali e/o delle modalità di esercizio imposto dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità (così anche Corte Cassazione, 12.6.2012, n. 39852).
Sempre secondo la giurisprudenza, per integrare il reato di cui all'art. 659, comma uno, è, altresì, necessario che il fastidio non sia limitato agli appartamenti attigui alla sorgente rumorosa (Cassazione, Sez. terza, 13.5.2014, n. 23529), o agli abitanti dell'appartamento sovrastante o sottostante alla fonte di propagazione (Sez. 1, 14.10.2013, n. 45616, Vi), occorrendo invece la prova che la propagazione delle onde sonore sia estesa quanto meno ad una consistente parte degli occupanti l'edificio, in modo da avere una diffusa attitudine offensiva ed una idoneità a turbare la pubblica quiete.
Difatti, “la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l'incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l'interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l'evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare” (tra le tante, Corte di Cassazione, Sezione 1, 29.11.2011, n. 47298; Sez. 3, 27.1.2015, n. 7912).
In altri termini, l'inquinamento acustico intanto può integrare il reato di cui all'art.659 co. 1 c.p. in quanto sia concretamente idoneo a recare disturbo al riposo e alle occupazioni di una pluralità indeterminata di persone, ancorché non tutte siano state poi in concreto disturbate” (Tribunale di Vicenza 1421 del 22 novembre 2016).
Sotto tale aspetto, è stato parimenti precisato, con riferimento alla norma in disamina, che “l'interesse tutelato dal legislatore (…) è la pubblica quiete e non quella privata”, per cui “attesa la sua natura di reato di pericolo presunto, la prova dell'effettivo disturbo di più persone non è necessaria, essendo sufficiente l'idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato (cfr. Corte di Cassazione, seziona terza, Sentenza n. 45262 del 12/07/2018).
Sulla scorta di tali argomentazioni, il Tribunale di Napoli ha assolto, dal reato in disamina, il titolare di un pub ubicato nei locali posti al piano terreno di un fabbricato condominiale (Tribunale Napoli, Sezione 9, Penale, Sentenza 22 gennaio 2019 n. 618).
Nel caso di specie - per quanto è dato rilevare dal provvedimento - non era stata fornita la duplice prova, occorrente al caso. Vale a dire che il volume della musica fosse tale da arrecare disturbo alla quiete pubblica e che, per quanto riguarda i presunti schiamazzi dei clienti del bar, il gestore non avesse esercitato il potere di controllo che gli spetta.
Inoltre, nella fattispecie alcuno dei condòmini ha mai sporto alcuna denunzia e, ancor prima, nessuno di questi si è mai lamentato del rumore proveniente dal locale sottostante (l'assunto viene ricavato dal decidente dall'esame dei verbali assembleari).
La circostanza, infine, che il disturbo sia stato arrecato ad un'unica persona (poi costituita parte civile e che ha rapporti assolutamente conflittuali con gli imputati, come appuratosi in giudizio in virtù delle reciproche denunce anche per episodi diversi e ben più gravi- l'aggressione-) ha escluso, secondo il giudice di primo grado, la presenza del reato in disamina in capo l'imputato.

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