Condominio

Quando il lastrico solare diventa solarium

di Anna Nicola

Il condominio è dotato di lastrico solare comune, provvisto di parapetto ed accessibile da tutti i condòmini.
Un condomino decide di mettere su questo terrazzo dei lettini per prendere il sole, delle piante e dei fiori, rendendo l'ambiente suscettibile di essere goduto e accogliente.
L'assemblea dei condòmini verifica la destinazione assegnata dal condomino a questo bene comune e delibera di inibirne l'utilizzo: i condòmini non accettano lo sfruttamento da parte del “vicino” contitolare e rilevano che il suo atteggiamento ha comportato un mutamento di destinazione d'uso.
A sostegno di quanto affermato, il condominio richiama la norma del proprio regolamento sulla cui base viene disposto il divieto di occupare anche con oggetti mobili di ogni specie le terrazze, le scale ed in genere i locali di proprietà comune. Di tutta risposta, il condomino impugna queste deliberazioni per invalidità.
La causa viene svolta dal Tribunale di Roma con la decisione n. 14693 del 16 luglio 2018.
Nel caso di specie il regolamento di condominio, evocato dal medesimo, non è risultato opponibile all'attore non avendo raggiunto la prova della sua natura contrattuale. Si ricorda che questa natura può desumersi solo dall'accettazione espressa delle clausole in seno l'atto di acquisto dell'unità immobiliare, ovvero dalla sua trascrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari con la precisazione che l'invocata clausola, che limita i diritti del partecipanti, deve risultare da specifica nota.
La risoluzione, in punto di diritto, della controversia è stata affidata al richiamo delle norme del codice civile.
L'articolo di riferimento, in questo caso, è quello rubricato ”Uso della cosa comune”, a mente del quale <Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso>.
La parità di uso assicurata dalla norma ad ogni condòmino è tesa a consentire qualsiasi altro miglior uso e non quel particolare identico uso con la conseguenza che il concorso di diritti al miglior godimento della cosa comune si risolve non con il criterio della priorità bensì con quello dell'equo contemperamento dei contrapposti interessi.
Inoltre le due condizioni d'uso della cosa comune indicati dalla citata norma sono costituite dall'immutabilità della destinazione obbiettiva e concordata della cosa comune e dall'infrapponibilità di ostacoli al pari uso degli altri partecipanti, circostanze che renderebbero inservibile la cosa comune considerato che il concetto di inservibilità và interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che all'origine il condomino traeva dalla cosa (Cassazione civile 20909/10).
In conclusione la delibera impugnata è stata così dichiarata affetta da nullità: nello sfruttamento personale della terrazza, mediante l'allocazione di lettini e piante, non v'è alcuna violazione del principio di cui al pari diritto di uso da parte di tutti i condomini.
La fattispecie può rilevare sotto altro profilo: il terrazzo o il giardino, ove siano visibili dall'esterno, rientrano nei luoghi “esposti al pubblico”.
Sotto questo profilo rileva allora se i comportamenti posti in essere siano atti contrari alla pubblica decenza ex art. 726 c.p.
La pubblica decenza è quel minimo di costumatezza e di decoro che deve accompagnare tutte le attività che si svolgono nell'ambiente sociale (Cass. 4148/1975).
Ai fini della valutazione dell'illecito occorre individuare il vero sentimento della maggior parte dei cittadini in un determinato momento, in conformità alla progressiva evoluzione del modo di pensare (Cass. 10475/1985).
Si integra la fattispecie di cui all'art. 726 segli atti offendano i principi della pudicizia e della morale, suscitando disagio, disgusto e disapprovazione (Cass. 11293/1983).La pubblica decenza, infatti, è quel complesso di regole etico-sociali che impongono a ciascuno di astenersi da ciò che può offendere il sentimento collettivo della più elementare costumatezza .
Così è per la nudità in luogo pubblico: essa è idonea a provocare turbamento nella comunità, potendo essere tollerata solo nella particolare situazione dei campi nudisti, riservata a soggetti consenzienti, ma non in luoghi pubblici o aperti al pubblico, ove è percepibile da tutti, anche bambini e adulti non consenzienti (Cass. 28990/2012).
In virtù di quanto sopra esposto, per comprendere se la condotta di abbronzarsi senza veli rientri nell'art. 726 c.p., occorre valutare se il terrazzo sia ricompreso nella nozione di luogo esposto al pubblico.
Infatti, il discrimen tra un comportamento lecito ed uno illecito è il luogo in cui ci si mostra nudi.
Il terrazzo rientra in questi ultimi, in quanto trattasi di un luogo visibile dall'esterno.
In altre parole, si integra la fattispecie di cui all'art. 726 c.p., se chiunque passando per strada o affacciandosi dalla finestra può vedere la nudità altrui.

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