Condominio

Contenzioso: l’appello va proposto in base al rito iniziale, anche se è sbagliato

di Luciano Ciafardini

La vicenda affrontata dalla sentenza n. 21632 del 2019 può essere sommariamente riassunta nei seguenti termini: un condomino propone ricorso – nel maggio del 2009 e, dunque, quando l'art. 1137 c.c. ancora sembrava prevedere tale forma processuale per l'atto introduttivo del giudizio – per impugnare una delibera assembleare; la delibera viene dichiarata nulla dal Tribunale e la relativa sentenza viene impugnata da altri condòmini, che propongono appello ancora nella forma del ricorso; la Corte d'appello dichiara inammissibile l'impugnazione, per essere stato il ricorso notificato oltre il termine di 30 giorni previsto dall'art. 325 c.p.c.
La Suprema Corte viene interpellata dai condòmini soccombenti in secondo grado con un unico motivo di ricorso, fondato sul principio di c.d. “ultrattività del rito”, in base al quale l'atto introduttivo del giudizio di appello dovrebbe seguire la stessa identica forma dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, ossia, nel caso in esame, quella del ricorso e, dunque, la tempestività dell'appello andrebbe considerata facendo riferimento alla data di deposito del ricorso.
I giudici di piazza Cavour accolgono la tesi dei ricorrenti e, rilevato che il ricorso in appello è stato depositato nel termine di legge, cassano con rinvio la sentenza impugnata.
La soluzione non appare convincente.
La pronuncia in esame ricorda che le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo cui le impugnazioni delle delibere dell'assemblea condominiale vanno proposte con citazione (Cass. sez. un., sentenza n. 8491 del 2011), pur aggiungendo che la domanda, proposta impropriamente con ricorso anziché con citazione, può essere ritenuta valida, purché entro i trenta giorni stabiliti dall'art.1137 c.c. l'atto venga depositato in cancelleria.
Trattavasi di soluzione ispirata, come chiarito dalla successiva sentenza delle medesime sezioni unite n. 21675 del 2013, dall'intento di evitare conseguenze pregiudizievoli, sul piano delle preclusioni processuali, alle impugnazioni proposte sotto forma di ricorso e che comunque trovava giustificazione nella specificità morfologica e funzionale dell'atto impugnato (delibera di assemblea condominiale) e, conseguentemente, della relativa opposizione.
Nulla era stato affermato dalle sezioni unite in tema di appello avverso la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado.
A tale proposito, la sentenza in esame richiama, invece, l'orientamento (isolato all'interno della seconda sezione della Corte di cassazione) per il quale se l'impugnazione di una sentenza relativa alla validità delle deliberazioni assembleari sia stata effettuata con la forma del ricorso, il termine per la proposizione dell'appello è rispettato col deposito in cancelleria del ricorso e non, invece, con la notificazione del ricorso stesso (Cass. sez. 2, sentenza n. 18117 del 2013).
Rileva, poi, che di recente la medesima seconda sezione (Cass., sez. 6-2, ordinanza n. 8839 del 2017) ha ribadito l'opposto principio secondo cui l'appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull'impugnazione di una deliberazione dell'assemblea di condominio (nonostante il primo giudizio sia stato introdotto con ricorso ai sensi dell'art. 1137 c.c.), va proposto, in assenza di specifiche previsioni di legge, mediante citazione in conformità alla regola generale di cui all'art. 342 c.p.c., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell'atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice ad quem (in tal senso, già Cass. sez. 2, sentenza n. 8536 del 2009; Cass. sez. 2, sentenza n. 23692 del 2014).
In presenza del registrato contrasto, la pronuncia in esame sceglie di aderire al primo degli indirizzi illustrati, pur minoritario, con argomentazioni che suscitano non poche perplessità.
Secondo la sentenza in commento, infatti, ove la controversia sia stata erroneamente trattata in primo grado “con il rito speciale del lavoro” (così, espressamente, in motivazione), anziché con quello ordinario, la proposizione dell'appello deve seguire “le forme della cognizione speciale” (sic).
Tale conclusione sarebbe imposta dal principio della “ultrattività del rito” che escluderebbe la possibilità, per la parte appellante, di proporre l'impugnazione “adottando un rito diverso da quello con cui si è svolto il giudizio di primo grado” (così, ancora, la motivazione della sentenza in esame), anche per tutelare l'affidamento della parte nelle regole del processo.
Orbene, sembra innanzitutto fuori luogo discorrere di “rito speciale del lavoro”, in una materia che non è affatto ad esso soggetta.
Da ciò deriva, in via consequenziale, l'inapplicabilità del principio di cd. “ultrattività del rito”, che la giurisprudenza di legittimità applica, appunto, nei casi in cui un “rito speciale” astrattamente applicabile alla materia controversa sussista e sia stato omesso (o viceversa): in questi casi, poiché anche le forme dell'impugnazione sono rette da regole speciali, electa una via – con la ratifica del giudice di primo grado che non provvede ad alcun mutamento di rito – non datur recursus ad alteram.
Ma, a tal fine, non basta certo l'adozione di una determinata forma (in tesi, speciale) per l'atto introduttivo del giudizio in primo grado, per applicare un rito speciale alla fase dell'appello, quando questa è pacificamente affidata, invece, alle forme del rito ordinario di cognizione.
Del resto, tutte le pronunce sul principio di “ultrattività del rito” richiamate dalla sentenza in esame concernono la materia del diritto del lavoro o quella della liquidazione degli onorari e diritti di avvocato, soggette, appunto, ad un rito speciale.
Come correttamente evidenziato dalla sentenza del 2017, peraltro, l'orientamento secondo cui, in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari del condominio, poteva essere introdotto con ricorso anche il giudizio di appello, deve intendersi superato a seguito di Cass. sez. un., sentenza n. 2907 del 2014, la quale ha ritenuto di portata generale il principio per cui un appello erroneamente introdotto con ricorso, anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione, appunto, che nel termine previsto dalla legge l'atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, mentre la deroga, nel senso di un'assoluta equipollenza o indifferenza delle forme, delineata dalla già citata Cass. sez. un., n. 8491 del 2011, n. 8491, trovava giustificazione soltanto per l'atto introduttivo del giudizio di primo grado di impugnazione delle delibere dell'assemblea condominiale, stante la formulazione dell'art. 1137 c.c., prima della riforma operata dalla legge n. 220 del 2012 (la quale ha, ora, eliminato il riferimento al termine “ricorso”).
Le medesime sezioni unite del 2014, del resto, hanno chiarito che la conversione (di questo si tratterebbe, in sostanza, anche nel caso di specie), ai sensi dell'art. 156 c.p.c., di un atto introduttivo non conformato allo specifico modello legale del procedimento che intende introdurre può realizzarsi solo se l'atto da convertire sia dotato di tutti i requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo dell'utile introduzione del procedimento secondo lo schema legale prescritto. Ne consegue che, in caso di impugnazione irritualmente proposta con ricorso anziché con citazione, la conversione si verifica soltanto in caso di tempestiva notificazione dell'improprio atto alla controparte (costituendo la notificazione dell'atto, nei giudizi da introdursi con citazione, il momento cui è collegata l'utile instaurazione del rapporto processuale).
In definitiva, la pronuncia in esame “riapre” una questione che pareva pacificamente – e condivisibilmente – risolta in senso contrario, sicché appare inevitabile, ed anzi a questo punto auspicabile, un nuovo intervento nomofilattico delle Sezioni Unite.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©