Condominio

Condominio con il conto in rosso, come fare?

di Giuseppe Màrando

Le disponibilità finanziarie per la conservazione ed il godimento dei beni e servizi comuni, (manutenzione, attività ordinaria e straordinaria) possono talora mancare per un deficit di cassa dovuto a vari motivi, in primo luogo la mora contributiva dei condòmini od il pignoramento del conto corrente condominiale (ammesso dalla giurisprudenza di merito, la Cassazione non si è ancora pronunciata).
Le conseguenze che ricadono sulla gestione dell'amministratore non sono di poco conto.
Il mancato pagamento delle bollette porterebbe alla sospensione delle forniture
(acqua, luce, gas), con la evidente paralisi dei servizi comuni, anche se in giurisprudenza si leva qualche voce a salvaguardia della fornitura dei beni primari (ad es. l'acqua). Il provvedimento sanzionatorio dei fornitori, a parte gli evidenti danni per tutti, colpirebbe anche i condòmini in regola con i contributi, in spregio al noto principio giurisprudenziale sulla parziarietà dell'obbligazione, costringendoli a pagare (al fine di godere dell'erogazione) anche per i morosi prima che gli stessi (come vuole la legge) vengano escussi.
L'altro grave inconveniente si riconduce alla necessità di lavori straordinari urgenti, che obbligano l'amministratore ad intervenire, a pena sia di responsabilità contrattuale verso il condominio per danni ai beni comuni che di responsabilità aquiliana per danni a terzi (ivi inclusi gli stessi condòmini). Nell'inerzia dell'amministratore il Sindaco può ordinare al condominio di eseguire nel fabbricato i lavori “indifferibili ed urgenti a tutela della pubblica incolumità” (art. 54 D.Lgs. n. 267/2000) ed in caso d'inosservanza provvederà d'ufficio il Comune a danno degli inadempienti (v. Trib. Nola 4/5/2018). Se poi si tratta di edifici condominiali che il Comune dichiara “degradati” (stesso art. 54 cit.) e l'assemblea non prende le delibere conseguenti o l'amministratore non esegue quelle adottate, il sindaco può richiedere al Tribunale la nomina di un amministratore giudiziario ai sensi dell'art. 1105 del Codice con il compito di assumere le decisioni indifferibili e necessarie in sostituzione dell'assemblea (art. 5-sexties D.L. n. 32/2019, c.d. “Sblocca cantieri”).
Le previsioni dei suddetti interventi esterni non elidono del tutto il rischio di eventuali responsabilità “interne”, che ricadono (in via civile e penale) sui condòmini liberando l'amministratore (Cass. pen. n. 14465/2014, n. 16790/2011); anche perchè i condòmini potrebbero pur sempre ricorrere alla «volontaria giurisdizione» per i provvedimenti necessari all'esecuzione dei lavori (Cassazione penale n. 14465/2014). L'amministratore, però, resterebbe in ogni caso obbligato a predisporre le cautele più immediate e idonee contro i pericoli per l'incolumità (es. transenne nella zona pericolosa, richiesta di intervento dei vigili del fuoco, ecc.) (Cassazione penale n. 46385/2015, n. 21401/2009).
Ma al di fuori delle opere urgenti per il fabbricato o del pagamento delle fatture, è sempre e comunque necessaria una dotazione di mezzi finanziari per poter assolvere alla molteplicità di esigenze ed interventi richiesti dalla gestione ordinaria, per la quale l'amministratore ha un autonomo potere di spesa (art. 1130 n. 3 del Codice) senza bisogno di preventiva delibera dell'assemblea (che provvede in via posteriore con l'approvazione del rendiconto).
Ai fini accennati si prospetta impraticabile la costituzione di un fondo cassa per ripartire le morosità fra i condòmini «virtuosi», poiché la delibera richiede l'approvazione di tutti i partecipanti a pena di nullità; diversamente lederebbe i diritti individuali dei dissidenti imponendo loro di concorrere alle spese condominiali in misura non proporzionale al valore delle rispettive proprietà come invece previsto dall'art. 1123 del Codice (giurisprudenza concorde, per tutti: Cassazione 20394/2008; Cassazione 13631/2001; Trib. Milano 18/9/2017).
Una deroga al principio della unanimità era fatta derivare, nel vigore della precedente disciplina, dalla necessità di costituire, con delibera adottata a maggioranza, un fondo cassa per l'ipotesi di effettiva improrogabile urgenza di reperire altrimenti le somme necessarie, evitando sia la sospensione dei servizi essenziali che l'esecuzione contro i condòmini da parte di terzi creditori (Cassazione n. 9083/2014, Cassazione n. 13631/2001,Trib. Bari n. 1133/2011). Senonché, il nuovo articolo 67 commi 1° e 2° delle disp. att. del Codice porta ad escludere la legittimità di una simile delibera, perchè i creditori possono agire contro i condòmini in regola solo dopo l'escussione dei morosi.
Un anticipo personale di cassa da parte dell'amministratore non sarebbe per lui privo di rischi, atteso che il rimborso di dette somme è consentito solo dopo un preventivo controllo dell'assemblea, necessario per rendere il credito liquido ed esigibile (Cassazione n. 18084/2014; Cassazione n. 1224/20112) e nel contempo per valutare l'opportunità delle spese affrontate. Né l'amministratore potrebbe addurre facilmente l'esistenza di un mutuo, perché dovrebbe dimostrare in giudizio l'esistenza del relativo contratto, con la prova del fatto costitutivo della sua domanda di restituzione, non essendo sufficiente l'avvenuta consegna del denaro (Cassazione ord. n. 21633/2017).
La stipula di un mutuo bancario richiederebbe, in quanto escluso dai poteri dell'amministratore ex art. 1131 del Codice, una preventiva delibera assembleare (Cassazione n. 1734/1990) con la maggioranza dei 500 millesimi trattandosi di un atto eccedente l'ordinaria amministrazione.
In presenza di una paralisi economica della gestione, escluso che l'amministratore possa (come talora accade di sentire) «portare i libri in tribunale» non essendo il condominio soggetto a fallimento, all'amministratore che intenda liberarsi di ogni rischio rimane una sola via. Poiché il condominio non gli fornisce i mezzi necessari per lo svolgimento del mandato (art. 1719 del Codice), l'amministratore potrebbe rinunciare per giusta causa all'incarico presentando le dimissioni e poi ricorrere al Tribunale per la nomina del suo successore qualora non vi provveda l'assemblea (art. 1129, 1° comma, del Codice). Un tale gesto, tuttavia, non risolverebbe i problemi finanziari del condominio, che si proporrebbero con il nuovo amministratore.
Non rimane, dunque, a parte la creazione di un fondo “volontario” tra i condòmini, che la riscossione forzosa dei contributi, imposta all'amministratore a pena di revoca e da promuovere entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio; con le lungaggini e difficoltà che tale via comporta. In situazioni di grave urgenza lo strumento risolutivo, tuttavia, è un altro e resta in mano ai condòmini, anche singolarmente: si tratta del ricorso al Tribunale (c.d. volontaria giurisdizione) ai sensi dell'art. 1005/4° del codice con richiesta al tribunale di adottare i provvedimenti ritenuti opportuni.

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