Condominio

Rumore, il danno va provato e non basta esibire i decibel

di Rosario Dolce

Rumori dall’officina, non sempre la soluzione è il blocco dell’attività. E il giudice deve sempre precisare il perché della sua scelta. Lo ha affermato la Cassazione (sentenza 19434/2019) riformando una sentenza con la quale il titolare di un’officina per revisione auto, a seguito di accertati rumori oltre soglia di tollerabilità, era stato condannato all’inibizione della propria attività e al risarcimento dei danni arrecati nei confronti del proprietario dell’immobile sovrastante.

Fermo attività ultima scelta

Il giudice di legittimità ha avuto cura, intanto, di precisare che ogni qual volta si è avanti ad una domanda formulata da un “vicino”, volta a far cessare le immissioni rumorose provocate dal condòmino ad egli limitrofo, la corte di merito, pur avendo la facoltà di scegliere tra le diverse misure consentite dalla norma, ha l’obbligo di precisare le ragioni della scelta dell’una o dell’altra.

il giudice è tenuto ad una gradazione fra un’inibitoria totale delle immissioni tramite la cessazione dell’attività e un’inibitoria mediante l’imposizione di accorgimenti nello svolgimento dell’attività e nelle condizioni dell’immobile in cui essa viene espletata. Nel caso in cui questa gradazione difetti, sul piano motivazionale, la sentenza di merito emessa in termini di inibizione dell’attività lavorativa risulta suscettibile di essere impugnata per motivi di legittimità.

Risarcimento, cambia la regola

Con la sentenza 19434 i giudici di legittimità ritengono superabile l’orientamento espresso sino a qualche anno addietro, secondo il quale quando venga accertata la non tollerabilità delle immissioni, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare in casa propria e alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane sarebbero comunque il presupposto necessario e sufficiente di un danno (Cassazione, sentenze 2864/2016, 4693/78; 2580/87 e 5844/2007).

Questo principio non è più, a quanto pare, condiviso. Per i giudici di legittimità il danno subito dal vicino per immissioni moleste non può essere considerato come scontato ma deve essere provato: «il danno non patrimoniale subito in conseguenza di immissioni di rumore superiore alla normale tollerabilità non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno risarcibile con la lesione del diritto (nella specie quello al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane) ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, per il quale non vi è copertura normativa (...). Ne consegue che il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa, potendosi a tal fine avvalersi anche di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base però di elementi indiziari (da allegare e provare da parte del preteso danneggiato) diversi dal fatto in sé dell’esistenza di immissioni di rumore superiori alla normale tollerabilità».

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