Condominio

Per l’usucapione bastano le prove testimoniali

di Valeria Sibilio

Per i profani della materia legislativa è utile sapere che è possibile acquistare la proprietà di beni immobili, oltre agli altri diritti reali di godimento, in virtù del suo possesso continuato per vent'anni, senza il bisogno del consenso di chi, in base ai pubblici registri, né è titolare e senza alcun contratto di compravendita. Una particolarità legislativa alla base della sentenza della Cassazione n°19835 del 2019. In origine, un attore adiva il tribunale di Trani esponendo di esser titolare di un fondo e di aver usucapito la proprietà di una striscia di terreno da lui posseduta per oltre venti anni. Il Tribunale di Trani respingeva la domanda con pronuncia integralmente riformata in appello. La Corte, infatti, riteneva provato dalle deposizioni testimoniali che l'attore avesse posseduto la porzione controversa da oltre un ventennio. La società formalmente intestataria del bene conteso proponeva ricorso per Cassazione sulla base di cinque motivi ai quali rispondeva l'attore con controricorso.
Con il primo motivo, il ricorrente sosteneva che gli appellanti si erano limitati a censurare esclusivamente la valutazione delle prove testimoniali operata dal Tribunale, senza indicare le parti della sentenza di cui era chiesta la riforma e che si intendevano contestare. Un motivo apparso infondato, in quanto la sentenza di primo grado aveva respinto la domanda di usucapione, negando, sulla base delle prove per testi, che il resistente avesse posseduto l'immobile per tutto il tempo necessario ad usucapirlo.
L'appellante aveva contestato, in secondo grado, la ricostruzione delle vicende, sollecitandone una revisione integrale, ritenendo errata la valutazione delle prove testimoniali. Le censure rispondevano ai requisiti di specificità dei motivi di impugnazione prescritti dall'art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 54, D.L. 83/2012, convertito con L. 134/2012), tenuto conto che, per il contenuto della decisione impugnata, esse erano rivolte a contestare l'intera pronuncia e la sua integrale riforma costituiva l'esito obbligato dell'eventuale accoglimento del gravame, senza necessità di alcuna più specifica formulazione dei singoli motivi di doglianza.
Nel secondo motivo, il ricorrente asseriva che il giudice distrettuale avrebbe erroneamente interpretato le risultanze testimoniali, pervenendo a ritenere provato il possesso del resistente, trascurando che questi, con l'azione possessoria proposta nel corso del 1992, aveva diversamente indicato l'estensione della superficie usucapita rispetto a quanto sostenuto nella citazione introduttiva. Inoltre, nel momento in cui le parti avevano apposto i termini per delimitare le rispettive proprietà, la ricorrente si era rifiutata di sottoscrivere una planimetria esibita dal tecnico di controparte, contestandone le risultanze. Da ciò, l'onere, per il ricorrente, della controparte di dimostrare quale fosse la porzione posseduta, tanto più che un testimone aveva dichiarato che il resistente non aveva mai coltivato il fondo e che quindi non lo aveva usucapito. Infine, la Corte di merito non avrebbe considerato che la ricorrente, pur avendo inizialmente riconosciuto la proprietà ed il possesso del bene da parte del resistente, li aveva poi contestati dopo aver esaminato i titoli, e non avrebbe tenuto conto che nel corso del 1992 le parti avevano intavolato trattative per definire la controversia, senza sortire alcun esito.
Il terzo motivo, il ricorrente sosteneva di non aver inteso sottoscrivere la planimetria raffigurante lo stato dei luoghi e che la controparte aveva proposto in corso di causa un'azione di reintegra. Circostanze, queste, che dimostravano che quest'ultima non era nel possesso del bene al momento dell'instaurazione del giudizio. Inoltre l'occupazione dell'immobile era stato tollerata sin dal 1992, allorquando le parti avevano avviato trattative per delimitare correttamente i confini.
Tre motivi che, esaminati congiuntamente, sono apparsi, per gli ermellini, infondati, in quanto la sussistenza dell'esercizio del possesso pieno della striscia di terreno controversa era stata desunta dalle prove testimoniali e dalle dichiarazioni rese in giudizio dalle parti, avendo la sentenza accertato che la controparte aveva utilizzato e coltivato il terreno fin dal 1970 e che successivamente, nel 1991, la società aveva fatto arare la striscia di terreno coltivata, riconoscendo di aver commesso un abuso, non essendo a conoscenza dello stato dei luoghi e della reale situazione di appartenenza dei terreni.
Per la Corte di merito, il resistente aveva iniziato a possedere autonomamente il fondo sin dal 1970, tanto che solo nel 1992 la società, formale intestataria del bene, ne aveva lamentato l'occupazione abusiva. Secondo l'articolo 1141, comma primo, c.c. l'usucapione poteva essere esclusa solo dalla prova che il potere di fatto fosse iniziato a titolo di detenzione. Non sussisteva, infine, la lamentata violazione dell'art. 1158 c.c., non ricorrendo né un'errata individuazione della norma applicabile al caso concreto, né un vizio di sussunzione della fattispecie, essendo estraneo all'ambito della violazione di legge l'eventuale errore in cui sia incorso il giudice nella ricognizione dei fatti di causa a mezzo delle risultanze istruttorie.
La sentenza ha precisato che nessun riconoscimento del diritto di proprietà della ricorrente poteva ritenersi manifestato dalla controparte che, al contrario, aveva instaurato il giudizio per ottenere l'accertamento dell'usucapione, compiendo un atto inteso a riaffermare il possesso e a veder riconosciuto il proprio acquisto in opposizione ed in contrasto con le pretese della formale intestataria dell'immobile. Se l'esercizio del possesso era iniziato nel 1970, la circostanza che solo nel 1992 la resistente avesse contestato la proprietà, invocando le risultanze dei titoli, non valeva né ad interrompere il decorso dell'usucapione, né a mutare l'originario possesso in detenzione, poiché, secondo la tolleranza del titolare rileva come ragione ost ativa all'acquisto del possesso, senza di per sé incidere su un possesso già costituito. La pronuncia, prendendo in esame le trattative intavolate dalle parti al fine di risolvere l'incertezza circa la collocazione dei confini, ha ritenuto che, nonostante le contestazioni della ricorrente, la planimetria raffigurante lo stato dei luoghi e la situazione dei confini descrivesse correttamente l'estensione della superficie posseduta.
Nel quarto motivo, il ricorrente lamentava il fatto che la sentenza avesse erroneamente ritenuto che la porzione usucapita coincidesse con quella raffigurata nella planimetria catastale prodotta dal resistente, planimetria che però era stata contestata, non essendovi, inoltre, alcun ulteriore elemento per ritenere che il fondo rivendicato coincidesse con quello effettivamente posseduto. Motivo ritenuto infondato, in quanto il fatto che la planimetria fosse contestata non impediva alla Corte distrettuale di ritenerla idonea ad individuare la superficie posseduta, considerato inoltre che, controvertendosi dell'acquisto per usucapione e non dell'appartenenza del bene in base ai titoli, non veniva in rilievo l'effettiva corrispondenza tra la situazione dei confini come risultante dagli atti di acquisto e l'estensione oggettiva del possesso esercitato dal resistente.
Il quinto ed ultimo motivo è stato l'unico ritenuto fondato dagli ermellini. Un motivo inerente la decisione dei giudici di porre a carico della parte soccombente anche le spese di trascrizione della sentenza, pur trattandosi di onere gravante sulla parte vincitrice. Per la Suprema Corte, la condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali comprende anche le spese conseguenziali alla sentenza conclusiva del giudizio, incluse quelle di registrazione, verso le quali non si può agire in regresso nei confronti delle altre parti processuali, condebitrici solidali nei confronti dell'amministrazione finanziaria, e di trascrizione la quale non è diretta a risolvere eventuali conflitti tra gli acquirenti a titolo originario e gli aventi causa a titolo derivativo ma a soli fini fiscali e per generiche esigenza di completezza della pubblicità immobiliare.
Gli ermellini hanno, perciò, rigettato il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, accogliendo il quinto motivo e cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad un'altra sezione della Corte d'Appello di Bari anche per le spese del giudizio di legittimità.

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