Condominio

Animali in casa: solo il proprietario risponde per il danno causato dal cane

di Edoardo Valentino

I base all'articolo 2052 del Codice civile risponde del danno causato dall'animale solo il proprietario o comunque il soggetto che ne ha custodia e disponibilità, a nulla rilevando altri tipi di relazioni.
Questo il principio pronunciato dalla sentenza Cassazione Sezione III, 19 luglio 2019, numero 19506.
Il caso prende le mosse da un incidente occorso a un bambino che, uscito dalla porta di un edificio religioso (un convento), era stato spaventato dall'assalto di un cane, che gli aveva abbaiato e ringhiato contro. Per sottrarsi all'attacco il bambino era scappato e, nella fuga, era caduto da una scalinata fratturandosi la gamba in modo tanto serio da necessitare due operazioni chirurgiche.
All'esito dell'incidente i genitori del bambino agivano in giudizio avverso il sacerdote, responsabile della canonica, e la sua collaboratrice, reale proprietaria del cane responsabile dell'incidente.
In primo grado il Tribunale, pur dando ragione agli attori, condannava la sola collaboratrice e rigettava la domanda nei confronti del sacerdote, limitando poi il risarcimento al 50% della domanda.
Il Giudice, in buona sostanza, aveva ridotto il risarcimento considerando coresponsabile il bambino e attribuendo una parte del nesso causale dell'incidente alla peculiare costruzione della scala.
La famiglia del bambino agiva quindi in appello, domandando il pieno pagamento della somma già chiesta in prime cure.
La Corte d'Appello, all'esito del giudizio, accoglieva la domanda degli appellanti e riformulava la decisione di prime cure accordando una maggiore somma al danneggiato.
Rilevava, poi, il collegio, come il sacerdote non potesse essere considerato responsabile solo in quanto responsabile del convento, dato che il cane era pacificamente di proprietà della collaboratrice.
La decisione, quindi, veniva presa sulla base del disposto dell'articolo 2052 del Codice Civile, che afferma che “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Nessun collegamento, quindi, poteva sussistere tra il sacerdote e il cane.

La norma citata, quindi, rappresentava un caso di vera e propria responsabilità oggettiva in ragione della quale la sola proprietaria dell'animale poteva essere condannata a risarcire i danni cagionati dallo stesso, a prescindere dalla tolleranza del sacerdote rispetto alla presenza del cane nel convento.
Rispetto alla quantificazione del danno, inoltre, il risarcimento veniva accordato nella sua interezza, non potendosi ravvisare alcun fattore esterno suscettibile di interrompere il nesso causale tra il fatto e il danno.
Stante la soccombenza, la collaboratrice ricorreva il Cassazione al fine di ottenere la riforma della sentenza di Appello.
Secondo la ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe errato nel non valutare una coresponsabilità del sacerdote nell'incidente, dato che questi aveva il potere di decidere sulla permanenza del cane nel convento e quindi avrebbe avuto, secondo la collaboratrice, una sorta di rapporto di custodia verso l'animale che lo avrebbe reso parimenti responsabile del danno cagionato.
Tale motivo veniva recisamente rigettato dalla Cassazione.
Secondo la Corte, infatti, tale valutazione era attinente al fatto e quindi non censurabile in sede di giudizio di legittimità e, inoltre nessun rapporto di custodia poteva ravvisarsi nel sacerdote.
Affermavano gli ermellini infatti che “E' vero che l'art. 2052 c.c. configura una responsabilità oggettiva a carico del proprietario o dell'utilizzatore dell'animale, e che il danneggitato deve limitarsi a provare il nesso eziologico tra il comportamento dell'animale e il danno, incombendo sul danneggiante la prova del fortuito, ma è altresì vero che, in mancanza di fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, comprensivo del fatto del terzo o del fatto colposo del danneggiato, la responsabilità resta imputata a chi si trova in relazione con l'animale perché ne è proprietario o perché ha comunque un rapporto di custodia sul medesimo”.
Nessun collegamento poteva ravvisarsi però con il sacerdote, nonostante avesse tollerato la presenza dell'animale di proprietà della sua collaboratrice all'interno del convento.
Alla luce di tale principio, la Cassazione con la sentenza in commento rigettava il ricorso della collaboratrice, confermando la sentenza pronunciata in grado d'appello.

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