Condominio

Le tabelle millesimali come «negozio di accertamento»

di Anna Nicola

Ancora di recente è stato affermato che le tabelle millesimali non mostrano una volontà ma solo un accertamento di una situazione fattuale, sulla cui base porre certezza delle singole misure del diritto di comproprietà in capo al condomino e del diritto d'uso dei beni comuni
Esse hanno questa natura anche nel caso in cui siano allegate ad un regolamento di natura contrattuale
Ciò che rileva è l'oggetto su cui si va ad incidere. Per il Tribunale di Roma (sentenza 29 gennaio 2019) l’indirizzo è ormai consolidato: «…Le carature millesimali che, secondo quanto affermato dalla sentenza della S.C. (Cass. SSUU 18477/10) il cui deliberato costituisce ormai un consolidato arresto giurisprudenziale (v. Cass. 11387/13 e Cass. 4569/14) non superato dalla novella, non costituiscono il frutto di un atto negoziale per cui non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini ma risulta sufficiente (che siano approvate) dalla maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 comma 2 c.c.. .».
A tale condivisibile conclusione la Cassazione è pervenuta sul rilievo che la tabella millesimale serve solo ad esprimere, in precisi termini aritmetici, un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini senza incidere, invece, in alcun modo su tali diritti posto che, in sede di approvazione della tabella, i condomini non fanno altro che riconoscere l'esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione fra il valore della quota e quello del fabbricato determinate sulla base di precise disposizioni di legge.
Quindi l'approvazione del risultato di un'operazione tecnica non importa la risoluzione o la preventiva eliminazione di controversie o di dubbi e non implica alcuna operazione volitiva per cui il riconoscimento che le operazioni siano state conformi al precetto normativo non implica attività negoziale.
Il fine dell'approvazione delle tabelle è solo quello di prendere atto della traduzione in frazioni millesimali di un rapporto di valori preesistente e la delibera che approva le tabelle non si pone come fonte diretta dell'obbligo contributivo ma solo come parametro di quantificazione dell'obbligo determinato in base al una valutazione tecnica (Cass. 10762/12). L'errata applicazione dei parametri di quantificazione o l'errata individuazione delle misure poste a fondamento del calcolo possono condurre, pertanto, ad un'errata caratura che è idonea a determinare non la nullità (in quanto non incide sui diritti dei partecipanti) ma l'annullamento della delibera di approvazione.
In ogni caso, ove anche allegate ad un regolamento di natura contrattuale (natura peraltro non provata in questa sede), la loro natura, per quanto sopra detto, non cambia e l'approvazione può avvenire anche a maggioranza. Solo in caso di approvazione di convenzione in deroga ai criteri di cui all'art. 1123 c.c. la delibera assume connotati negoziali e deve essere approvata all'unanimità.
La riforma del 2012 non risulta avere inciso sul citato condividibile orientamento giurisprudenziale. Il nuovo art. 68 disp att c.c. nulla dispone in tema di procedimento di formazione delle tabelle con la conseguenza che ad eccezione del caso in cui si sia inteso espressamente derogare al regime legale di ripartizione delle spese (art. 1123 c.c.), emergenza non riscontrata nel caso in esame, le tabelle dovranno essere approvate a maggioranza ai sensi dell'art. 1136 comma 2 c.c.. Mentre il nuovo art. 69 disp att ha tenuto conto della giurisprudenza della S.C. sol se le nuove disposizioni siano complessivamente interpretate leggendo dapprima il comma 2 (o la seconda parte del 1 comma laddove si enunciano i casi di approvazione a maggioranza) così rilevando che la rettifica o modifica dei valori espressi in tabella, anche nell'interesse di un solo condomino, può essere disposta a maggioranza in tutti i casi nei quali la modifica è necessaria (errore, mutate condizioni dell'edificio, ecc.), casi già contemplati nella precedente formulazione della norma e per i quali le S.U. avevano pronunciato il principio recepito oggi nel secondo comma. Laddove il primo comma assume, invece, carattere residuale essendo la modifica o la rettifica in esso prevista riservata all'evidenza alle sole ipotesi in cui non ricorrono i presupposti oggettivi di cui al secondo comma (quindi ad libitum) eventualmente derogando ai criteri legali di ripartizione della spesa sui quali si era formata la tabella: modifica che rientra senz'altro nel novero delle modifiche contrattuali per le quali occorre l'unanimità dei consensi ovvero se sia inteso, come detto, derogare ai criteri legali di ripartizione delle spese così dando origine ad una “nuova convenzione”.
Tale interpretazione appare confermata da quanto previsto all'art. 69 disp att c.c. ultimo comma laddove si afferma che «le norme di cui al presente articolo si applicano per la rettifica o la revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o convenzionali», norma che è in linea con i principi espressi dalla SC secondo i quali l'unanimità dei consensi è richiesta solo ove risulti che la tabella abbia natura contrattuale e sia stata approvata la 'diversa convenzione' di cui all'art. 1123 comma 1 c.c.. Peraltro in ogni caso è emerso che la modifica delle tabelle è stata deliberata per una delle ipotesi previsti dal secondo comma dell'art. 69 disp att c.c. come rinnovato, quindi l'approvazione è consentita a maggioranza e la delibera impugnata deve considerarsi pienamente valida ed efficace sotto il primo dei profili sollevati.

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