Condominio

Le problematiche ricadute condominiali del Dl sblocca cantieri

di Davide Laurino

Con il D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni con L. 14 giugno 2019, n. 55, c.d. decreto «sblocca cantieri» , il legislatore – nel più ampio intento di razionalizzare e velocizzare l'affidamento dei lavori in materia di opere pubbliche, con particolare riferimento agli interventi rivelatisi necessari a seguito dei tragici eventi sismici che hanno interessato molte aree della Penisola – ha ritenuto opportuno intervenire anche in materia condominiale.
Le principali novità in tema sono due:
1) l'art. 5-sexies , che afferma: «1. Negli edifici condominiali dichiarati degradati dal comune nel cui territorio sono ubicati gli edifici medesimi, quando ricorrono le condizioni di cui all'art. 1105, comma 4 cod. civ., la nomina di un amministratore giudiziario può essere richiesta anche dal sindaco del comune ove l'immobile è ubicato. L'amministratore giudiziario assume le decisioni indifferibili e necessarie in funzione sostitutiva dell'assemblea. 2. Le dichiarazioni di degrado degli edifici condominiali di cui al comma 1 sono effettuate dal sindaco del comune con ordinanza ai sensi dell'articolo 50, comma 5, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali [TUEL], di cui al d.lgs. 18.08.2000, n. 267, nel quadro della disciplina in materia di sicurezza delle città [D.L. 20.2.2017, n. 14]»;
2) l'art. 10, il cui comma 9 dispone che «In deroga agli artt. 1120, 1121 e 1136, commi 4 e 5, cod. civ., gli interventi di recupero relativi ad un unico immobile composto da più unità immobiliari possono essere disposti dalla maggioranza dei condomini che comunque rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio e gli interventi ivi previsti devono essere approvati con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell'edificio».
A una prima lettura emergono già alcuni possibili nodi interpretativi.
Cominciando dalle modalità relative all'ottenimento dei contributi per la ricostruzione privata (art. 10 del decreto), un primo problema è la nozione, coniata dalla riforma, di «unico immobile composto da più unità immobiliari». L'unicità dell'immobile, infatti, parrebbe escludere dall'ambito di applicazione della riforma le più frequenti ipotesi di c.d. supercondominio.
Non potendosi tuttavia accettare il paradossale effetto di privare tali fattispecie dalle agevolazioni procedurali previste dalla nuova normativa, due si palesano le possibilità applicative: o si riterrà superabile la definizione, consentendo perciò la delibera con soli 500 millesimi anche all'organo “supercondominiale”, con la conseguenza peraltro di individuare altra ragione giustificatrice nel caso di supercondomini non costituiti da condominii singoli; oppure ciascun condominio dovrà deliberare pro quota, con tutte le evidenti difficoltà di coordinamento che potrebbero porsi. A tale restrizione, poi, corrisponde una inconsueta espansione applicativa, posto che la stessa nozione parrebbe ricomprendere anche il fabbricato diviso in unità immobiliari ma non costituente un condominio, facendo emergere un'aporia: posto che le norme derogate espressamente attengono unicamente alla disciplina condominiale, l'eventuale applicazione a situazioni diverse non si spiegherebbe in alcun modo.
Meno problematica è la quantificazione delle maggioranze agevolate. La riforma infatti fissa un quorum costitutivo – tanti condomini pari alla metà del valore dell'edificio – e uno deliberativo – pari alla metà (per teste) degli intervenuti rappresentanti almeno un terzo del valore dell'edificio. Da chiarire, invece, è la naturale declinazione bifasica (dal punto di vista del condominio richiedente) del procedimento volto all'ottenimento dei fondi per la ricostruzione privata. Le maggioranze agevolate, allora, dovranno intendersi riferite sia alla fase deliberativa “a monte”, riguardante la richiesta, sia a quella “a valle”, volta all'impiego dei fondi ottenuti.
Nel delimitare l'ambito applicativo dell'intera disciplina dei contributi privati, inoltre, il legislatore si riferisce espressamente, più volte, anche agli «immobili distrutti» (cfr. art. 10, comma 1), attribuendo il diritto all'ottenimento degli emolumenti ai titolari di diritti reali sopra gli stessi (comma 2). Quali siano e soprattutto come possano sopravvivere alla distruzione tali diritti reali non è dato sapere: pare perciò imporsi la conclusione per cui la diposizione si riferisce a coloro che, prima della distruzione, erano titolari delle predette posizioni reali.
Riguardo l'art. 5-sexies, come peraltro modificato in sede di conversione, non sono peregrini i dubbi di legittimità costituzionale pur sollevati dai primi commentatori . Nel tentativo di superare le possibili frizioni con la normativa fondamentale, pare doversi ritenere che si opererà in tal modo: dapprima, il sindaco, tramite ordinanza contingibile e urgente ex art. 50, co. 5, TUEL potrà dichiarare lo stato di degrado dell'immobile condominiale o dell'area in cui esso è collocato, e poi, in caso di stallo organizzativo, lo stesso sindaco potrà intervenire ricorrendo al giudice al fine di ottenere, però, soltanto la nomina di un amministratore giudiziale, non anche lo specifico provvedimento in camera di consiglio, cui resta legittimato il solo singolo partecipante, oltre ovviamente all'amministratore giudiziale “ad acta”.
Interessante è pure il coordinamento della riforma con la disciplina in materia di perimento parziale del condominio . Pare ancora da escludersi che il sindaco possa richiedere direttamente il provvedimento ex art. 1128, co. 2, c.c. Diversamente invece nel caso in cui sia l'amministratore nominato a voler procedere in tal senso, sebbene, in assenza di deroga espressa, v'è da considerare che la norma codicistica si riferisce all'assemblea, onde la delegittimazione della stessa parrebbe una conclusione ardita.
Inoltre, i due interventi potrebbero astrattamente sovrapporsi: se infatti gli «interventi di recupero» di cui all'art. 10, comma 9, del decreto, si sostanziassero in una ricostruzione sussumibile nell'art. 1128, sarà necessario coordinare le maggioranze agevolatrici ivi previste per la delibera con la disciplina del perimento, il che confermerebbe che il relativo potere spetta in ogni caso alla sola assemblea, anche in caso di nomina dell'amministratore giudiziale, che a questo punto avrebbe il solo dovere di convocarla.
Conclusione, questa, obiettivamente depotenziatrice della riforma ma in linea sia con la necessità interpretativa di evitare quella che potrebbe ritenersi una sorta di espropriazione senza indennizzo dei poteri assembleari (tanto più considerando che alla base della stessa c'è un'ordinanza sindacale, espressione di un potere altamente discrezionale e ontologicamente eccezionale), che con l'evidenza pratica della situazione, posto che difficilmente si presenteranno opere di ricostruzione che non riguardino anche le porzioni in proprietà esclusiva, in cui è lo stesso potere assembleare (in tesi da sostituire) a difettare. In definitiva, perciò, il potere affidato al sindaco di sostituirsi all'assemblea pare da circoscrivere alla sola legittimazione a chiedere la nomina dell'amministratore giudiziale ex art. 1105, comma 4 c.c.
Discutibile è poi la deroga espressa al regime di cui all'art. 1121 c.c., specie riguardo agli interventi voluttuari. Unica spiegazione ragionevole sembra essere la volontà di evitare il contenzioso sull'eventuale dissenso opposto dal singolo condomino, considerata la natura pubblicistica degli interessi coinvolti.
Da ultimo, pare doversi segnalare anche la possibile responsabilizzazione del sindaco sul piano penale. Il potere espressamente riservato allo stesso di attivarsi, infatti, sembra idoneo a costituire, in capo allo stesso, una posizione di garanzia rilevante ex art. 40, comma 2, cod. pen., con ogni conseguenza in caso di crollo dell'edificio degradato.

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