Condominio

L’acquisto all’asta non sana l’abuso

di Guglielmo Saporito

Chi compra un immobile dal tribunale, in sede di esecuzione per debiti, rimane soggetto alle sanzioni edilizie per eventuali abusi commessi dal debitore.

Lo sottolinea il Tar di Catanzaro, con la sentenza 26 giugno 2019 numero 1305, con un principio estensibile agli acquisti da procedure fallimentari.

Un Comune aveva ordinato la demolizione di un manufatto privo del permesso di costruire, ma il proprietario eccepiva di non esserne responsabile, avendo acquistato l’immobile all’asta, al termine di una procedura di esecuzione immobiliare.

Si discuteva quindi dell’eventuale effetto purgativo derivante dal tipo di acquisto: chi compra a seguito di asta giudiziaria (esecuzione immobiliare), diventa proprietario di un bene libero da diritti, pesi e limitazioni legali. Ma tra le limitazioni cancellate dall’asta giudiziaria, non vi sono le irregolarità urbanistiche, cioè gli abusi commessi dal debitore.

Chi compra in un’asta giudiziaria, ottiene infatti il bene depurato dai debiti e dai pesi giuridici (ipoteche) posti dal precedente proprietario, e il bene si acquista nello stato di fatto in cui si trova.

I vizi edilizi tuttavia rimangono, e cioè continua l’abusività (totale o parziale) o il contrasto con i vicini in materia di distanze.

L’unico vantaggio concesso a chi acquisti immobili all’asta, nel caso di abusi edilizi, riguarda la possibilità di attivare una procedura di sanatoria.

Infatti, l’articolo 40, ultimo comma, della legge 47/85, prevede che si possa sanare la costruzione trasferita con procedura esecutiva immobiliare, entro 120 giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile, purché il credito che ha generato l’asta sia anteriore all’entrata in vigore della legge sul condono 47/85.

Con le successive proroghe di condono, questa possibilità si è prolungata fino al settembre 2003, consentendo la sanatoria, se i debiti che hanno generato la vendita forzata erano anteriori alle varie scadenze poste dalle leggi del 1985 (cioè al 1° ottobre 1983), del 1994 (al 31 dicembre 1993) e del 2003 (al 30 settembre 2003).

Il principio applicato dal Tar, cioè la permanenza dell’abusivismo anche dopo la vendita forzata, è condiviso anche dalla Corte di cassazione (1669 / 2015): per una vendita all’asta di un immobile risultato inquinato, si e’ infatti esclusa la possibilità di rivedere il prezzo pagato.

L’articolo 2922 del codice civile, secondo la Cassazione, esclude infatti la possibilità che “i vizi della cosa” possano incidere sulla vendita all’asta: solo se siano necessari interventi strutturali, o se l’immobile appartenga ad un genere diverso (destinazione diversa) da quello descritto, potrebbe chiedersi la restituzione del bene.

Non basta quindi il vizio di insalubrità, o il rischio di una demolizione parziale, perché la vendita all’asta è effettuata anche a tutela dei creditori, che si devono poter soddisfare sull’importo incassato.

Chi compra all’asta un bene con abusi non può nemmeno eccepire l’eventuale consolidarsi nel tempo della situazione (Consiglio di Stato, adunanza plenaria 9/2017), ma deve sperare di eliminare l’abusività, con una variante o una sanzione pecuniaria.

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