Condominio

Le porte di accesso sono beni comuni e sempre utilizzabili, anche in contrasto con il regolamento

di Valeria Sibilio

Non tutti sono a conoscenza che la materia relativa agli accessi carrabili e pedonali è regolata dal codice della strada e dalle norme comunali in merito alle richieste di autorizzazione. In tema condominiale può accadere, come nel caso dell'ordinanza 15851/2019 della Cassazione , che si creino problematiche inerenti questa materia e che hanno come materia di discussione giudiziaria la qualifica di parte comune o meno di una porta collocata in un complesso condominiale.
All'origine della vicenda un gruppo di condòmini che convenivano in giudizio l'ente di gestione dinanzi al giudice di pace di Milano per disciplinare le modalità d'uso di una porta, previo accertamento della qualifica di parte comune, collocata sul lato sud di un complesso condominiale. II supercondominio resisteva deducendo che il regolamento del complesso individuava le modalità di accesso, identificando le entrate con lettere alfabetiche e non ricomprendendo la porta tra esse. Ragione per cui, il giudice di pace di Milano riteneva non concedibili le chiavi di detta porta ai condòmini. Successivamente, il Tribunale di Milano rigettava l'appello proposto dai condòmini, indicando gli accessi pedonali e carrabili previsti nel regolamento richiamato nei diversi atti di acquisto, tra i quali non rientrava la porta in questione che, tramite una cancellata, confinava con l'esterno del complesso. La sentenza evidenziava, inoltre, che l'esigenza d'uso di tale porta era sorta successivamente, allorché una società aveva realizzato un complesso di box all'esterno del supercondominio, sottolineando che l'esclusione dell'accesso non violava il diritto dei condòmini all'uso delle parti comuni, trattandosi di disciplina contrattuale, e non potendosi quella domandata al giudice sovrapporsi alla volontà già espressa dai condòmini.
Contro tale sentenza, i condòmini proponevano ricorso per cassazione, ala quale resisteva il supercondominio con controricorso. Nel primo motivo, i ricorrenti si dolevano dell'erronea applicazione della disposizione in tema di uso paritario della cosa comune, essendo legittimo che essi traevano dalla porta ogni utilità compatibile con la destinazione e il couso degli altri partecipanti. Nel secondo e terzo motivo, deducevano che la sentenza aveva violato le disposizioni in tema di contribuzione alle spese per le parti comuni, anche disposta dal regolamento di condominio. Tre motivi che, strettamente connessi, sono stati esaminati dalla cassazione congiuntamente.
La sentenza impugnata ha ritenuto desumibile la non destinazione della porta in questione all'apertura come varco verso l'esterno dall'elencazione contenuta nell'art. 10 del regolamento contrattuale degli accessi pedonali e carrabili al condominio, che non la contemplava. Per il tribunale, la non destinazione della porta ad accesso non incideva sul diritto dei condòmini a far uso della cosa comune garantito dalla norma, trattandosi di un divieto contrattuale di accesso generalizzato nell'interesse comune. Una statuizione che gli ermellini hanno giudicato non in linea con la giurisprudenza secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, salvo il limite della non alterazione della destinazione, potendo detto limite essere reso perfino più rigoroso dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il “quorum” prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni. È evidente, perciò, che la decisione del giudice d'appello rendeva plausibile l'introduzione di un divieto di uso generalizzato attraverso una visione peculiare secondo la quale gli unici accessi a parti comuni sarebbero da ritenere quelli elencati nel regolamento. Erroneamente, dunque, il giudice d'appello, in base all'interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, aveva ritenuto doversi ritenere precluso l'accesso mediante la porta in questione, pur se parte comune. Una esclusione che violava il diritto dei condòmini all'uso delle parti comuni. Incoerente anche l'interpretazione corretta dell'art. 1102 cod. civ. svolta dal tribunale, secondo cui il libero accesso alla porta realizzerebbe, attraverso il cancello, un varco all'esterno non autorizzato. In sé infatti, in relazione all'indimostrata sussistenza di un divieto contrattuale di creazione di ulteriori accessi all'esterno, l'uso della porta e dell'ulteriore cancello al fine di entrare e uscire dal condominio non potrebbe essere in contrasto con la norma, a meno che non si alterni la destinazione del cancello o della striscia di terreno interclusa.
Il tribunale, inoltre, non si è soffermato in merito all'eventuale ricorrere dei presupposti per cui l'utilizzo della parte comune per dar accesso a un fabbricato contiguo, estraneo al condominio, sia tale da alterare la destinazione della parte comune, comportandone lo scadimento ad una condizione deteriore rispetto a quella originaria. L'uso della parte comune per creare un accesso a favore di una parte esclusiva è legittimo se l'unità del condòmino avvantaggiata è inserita nel condominio. Pertanto, il tribunale si era limitato a descrivere la collocazione all'esterno del cancello, limitante la zona comune interclusa cui conduce la porta in questione senza, però, argomentare in ordine al pericolo di formazione di una eventuale servitù, tale da costituire alterazione della destinazione dei varchi.
Da ciò deriva l'accoglimento, da parte della Corte, dei primi tre motivi di ricorso, assorbendo il quarto motivo, con cui si deduceva violazione dell'art. 1130 cod. civ., in relazione all'esercizio del potere dell'amministratore di disciplinare l'uso delle cose.

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