Condominio

Vietato ostacolare la servitù di passaggio

di Valeria Sibilio

Ostacolare parzialmente l'esercizio di una servitù di passaggio potrebbe rappresentare un impedimento o una aggravante al diritto di un condòmino, indifferentemente se egli sia proprietario o meno del fondo. Questa possibile alienazione è stata al centro dell'ordinanza 13214 del 2019, nella quale la Cassazione ha esaminato una vicenda nata dalla citazione notificata da un attore nei confronti di un condòmino, chiedendo di dichiarare l'acquisto per usucapione per possesso della servitù di passaggio e con bicivletta a proprio favore ed a carico del confinante fondo del convenuto che, nel 2000, aveva ostacolato parzialmente l'esercizio della servitù facendo avanzare una rete in plastica. Quest'ultimo chiamava in causa una società ed i soci della stessa, chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna dell'attore a rimuovere dal di lui terreno e ad arretrare a distanza legale le tubazioni per acqua e gas. Il tribunale di primo grado accoglieva la domanda del ricorrente, con condanna dei convenuti al ripristino, rigettando ogni altra istanza. Tuttavia, in Secondo grado, la Corte riformava tale sentenza condannando l'attore alla rimozione delle tubature in quanto non erano stati forniti elementi sufficienti sulla durata, sulla continuità del passaggio e sull'identificazione del percorso, con conseguente mancato assolvimento dell'onere probatorio. In ogni caso, i Giudici avevano considerato che la posa di un cancello pedonale sul muro di cinta non costituiva un'opera apparente ai fini dell'usucapione della servitù.
Gli attori, in primo grado ricorrenti, proponevano ricorso per cassazione ai quali i convenuti resistevano con controricorso.
Con il primo motivo, si censurano le valutazioni operate dalla corte d'appello che avrebbe erroneamente ritenuto non apparente la servitù di passaggio, potendo l'apparenza essere data anche dal solo calpestio. Per i ricorrenti, sarebbe stato utile, ai giudici di secondo grado, disporre di una perizia. Con il secondo motivo, si sosteneva che dalle planimetrie le tubazioni erano collocate a distanza legale, ma non si conosceva chi fosse proprietario di quelle posate sul terreno del controricorrente al quale, quest'ultimo aveva allacciato gli scarichi. Con il terzo motivo, lamentavano il fatto che la corte d'appello non avesse tenuto conto di alcuni passaggi delle deposizioni di un teste da cui sarebbe emersa la durata del passaggio. Con il quarto motivo, infine, si lamentavano la decisione della Corte per ciò che riguardava il carico delle spese processuali di tutte le controparti sul ricorrente.
I primi tre motivi, esaminati congiuntamente, sono stati giudicati, dalla Cassazione, inammissibili. La censura di violazione di legge sostanziale, come prevista dal n. 3 dell'art. 360 primo comma cod. proc. civ., consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito. Inoltre, la censura di omesso esame presuppone che l'esame della questione da parte del giudice di merito sia affetto dalla pretermissione di uno specifico fatto storico, principale o secondario, oppure che si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, escludendo qualunque rilevanza della semplice insufficienza o della contraddittorietà della motivazione. La parte ricorrente aveva contestato la ricognizione della fattispecie concreta cui sono state applicate le norme di diritto e il risultato dell'esame dei fatti storici. In pratica, richiedeva alla Cassazione un inammissibile nuovo vaglio di circostanze già esaminate, senza rilevare alcuna ricognizione di fattispecie in astratto.
Il quarto motivo è stato giudicato in parte inammissibile e in parte infondato. Inammissibile nella parte in cui pretende che sia motivata la condanna del soccombente in luogo della compensazione delle spese. Infondato nella parte in cui censura l'operato del giudice d'appello che, riformando la sentenza di primo grado, aveva governato le spese processuali, attenendosi correttamente al principio (v. Cass. n. 7431 del 14/05/2012) per cui il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrewnti alla rifusione, a favore delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per il convenuto in euro 200,00 per esborsi ed euro 1.500,00 per compensi, e per i soci della società estinta in euro 200,00 per esborsi ed euro 1.500,00 per compensi, oltre, per tutti, delle spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

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