Condominio

La casa diventa negozio? È innovazione e non basta il permesso del Comune

di Enrico Morello ed Edoardo Valentino

L'intervento posto in essere come innovazione (articolo 1120 del Codice civile) si distingue dalle modificazioni disciplinate (articolo 1102) sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo. Così si è espressa la Cassazione con sentenza n. 15265/2019 .
In particolare, dal punto di vista oggettivo l'innovazione consiste in un opera di trasformazione che incide sull'essenza stessa della cosa comune, modificandone la funzione e destinazione originaria. La modificazione, viceversa, costituisce una facoltà consentita al singolo condomino (nei limiti indicati dall'art. 1102 c.c. e cioè che non ne venga alterata la destinazione e non ne risulti impedito l'utilizzo ad altri condomini) nel tentativo di ottenere il miglior utilizzo della cosa comune.
Dal punto di vista soggettivo, invece, l'innovazione proprio per la sua capacità di incidere in modo profondo e sostanziale sulla parte comune, richiede una volontà condominale espressa tramite assemblea. Per quanto riguarda la modifica, non essendo in discussione l'interesse generale bensì quello del singolo condomino che intende ottenere un miglior godimento della cosa, non è richiesta l'espressione della volontà assembleare.
Applicando i predetti principi di diritto al caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che il tipo di intervento operato richiedesse l'intervento necessario ed obbligatorio della assemblea; questo in quanto la realizzazione di un negozio da parte di alcuni condomini sul proprio vano abitativo costituisce non una modifica del bene, ma piuttosto un mutamento di destinazione che incide sulla funzione del bene stesso e riverbera soggettivamente sull'interesse collettivo a mantenere (o meno) le destinazioni originarie delle varie unità di cui è composto il condominio.
Il caso, si ricorda per chiarezza, era sorto in quanto alcuni condomini avevano mutato la destinazione d'uso del proprio locale, da abitativa a commerciale , ritenendo che tale operazione non necessitasse di autorizzazione assembleare (trattandosi a loro dire di una modifica e non di una innovazione) ma fosse invece sufficiente la autorizzazione amministrativa che in effetti avevano ottenuto.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza confermata dalla Corte di appello partenopea, aveva accolto il ricorso del Condominio giudicando illegittimo il comportamento posto in essere e ordinando il ripristino dello stato dei luoghi.
I giudici di merito, in particolare, con ragionamento ritenuto corretto dalla Cassazione che infatti respingeva il ricorso, avevano ritenuto che si fosse posto in essere un intervento assimilabile ad una innovazione e non ad una semplice modifica.
Trattandosi di innovazione, pertanto, come detto ci si sarebbe dovuti sottoporre necessariamente alla volontà della assemblea, a nulla rilevando la autorizzazione amministrativa, che non riguarda i rapporti tra condominio e condomini, ottenuta da chi aveva mutato la destinazione di uso dei locali.

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