Condominio

La servitù usucapita è lecita anche se non rispetta le distanze

di Valeria Sibilio

La realizzazione di manufatti di diversa natura, da parte di un condòmino, è spesso motivo di liti e discussioni nell'ambito condominiale, per la possibilità che possa, in qualche modo, compromettere l'estetica originaria dell'immobile o ledere i diritti degli altri condòmini.
La Cassazione, nell'ordinanza 13684 del 2019, ha esaminato una vicenda originata dal rigetto, da parte del Tribunale di Ascoli Piceno, della domanda di un gruppo di condòmini volta ad ottenere l'eliminazione di una soletta in cemento realizzata da un altro condòmino, la quale occupava lo spazio aereo di un pozzo luce posto tra gli edifici delle parti, al fine di dare vita ad una terrazza abusiva. Inoltre, chiedevano l'eliminazione dell'infisso in ferro e vetro satinato, realizzato sempre dal convenuto, sul prolungamento della soletta in cemento, in violazione della normativa in materia di distanza per le vedute, e la demolizione della finestra, costituente veduta diretta verso la proprietà degli attori in sostituzione di preesistenti luci.
Anche la Corte di secondo grado rigettava l'appello degli attori, ritenendo che il Tribunale avesse valutato le risultanze istruttorie avvalendosi delle conclusioni raggiunte dal perito d'ufficio nelle quali risultava che la demolizione e la ricostruzione del muro perimetrale sul lato ovest non avesse modificato la preesistente situazione dei luoghi con riferimento alla distanza tra le due proprietà, atteso che il maggior spessore del muro riedificato rispetto a quello originario era stato ricavato sviluppando il muro all'interno della proprietà dei convenuti, mantenendo quindi il filo esterno del fabbricato.
Inoltre anche la lieve difformità enfatizzata dagli appellanti era stata ricondotta ad un errore grafico ovvero alla superficialità del rilievo del progettista che aveva predisposto gli allegati alla concessione edilizia, e ciò alla luce di quanto emergeva dalla corrispondenza tra la configurazione planimetrica del pozzo luce a quella attuale. In merito alla soletta in cemento, dalle risultanze della prova testimoniale, emergeva l'esistenza di un terrazzino con parapetto basso anche in passato.
Quanto alla demolizione della finestra, la consulenza aveva rilevato un ampliamento di dieci centimetri nelle sue dimensioni, avvenuto nella parte finale e più stretta del pozzo luce, così che la modifica non poteva costituire aggravamento della servitù di veduta sul fondo degli attori, interessando il lato finale del pozzo luce in cui non possono esservi finestre o vedute degli appellanti.
Il gruppo di condòmini ricorreva in Cassazione sulla base di tre motivi, ai quali gli originari convenuti resistevano con controricorso. Nel primo motivo, i ricorrenti affermavano che, essendo intervenuta la demolizione integrale della parete ovest del fabbricato dei convenuti, erano state eliminate tutte le preesistenti superfetazioni. Poiché si trattava di opera non consentita dalla disciplina urbanistica, i convenuti non avrebbero potuto usucapirne la proprietà, trattandosi di possesso acquistato in modo violento o clandestino. Un motivo, per gli ermellini, destituito di fondamento. I giudici di appello avevano ritenuto di accogliere la domanda riconvenzionale di usucapione, sul presupposto che fosse stata offerta la prova del possesso ultraventennale della soletta di cemento alla luce delle complessive emergenze processuali. Non solo, ma gli elementi istruttori raccolti, fondavano il convincimento che la soletta di cemento e la copertura fosse presente da oltre venti anni prima della proposizione della domanda e, soprattutto, che anche a seguito della demolizione della parete e della sua successiva ricostruzione, le dimensioni del manufatto fossero identiche a quelle originarie, essendo state rispettate anche le distanze tra i fabbricati. Inoltre il motivo si soffermava sulla conclusione della contrarietà dell'opera, ritenendo che precluderebbe la stessa possibilità di usucapire la proprietà. Un assunto che non tiene conto del fatto che è ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso.
Nel secondo motivo, i ricorrenti lamentavano l'insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso circa la rappresentazione planimetrica, operata dalla perizia e la sua difformità rispetto allo stato ante progetto, ritenendo che le innovazioni realizzate avessero dato vita ad una nuova costruzione. Motivo giudicato inammissibile, in quanto censurata sulla base della formulazione di una norma non più applicabile.
Nel terzo e ultimo motivo di ricorso, si denunciava il fatto che la Corte avesse respinto, con considerazioni inconsistenti, la richiesta di demolizione del manufatto. Motivo inammissibile, in quanto infondata in relazione alle opere per le quali la sentenza di appello ha accertato la loro conformità a quelle preesistenti. Avendo, i ricorrenti, insistito sulla negazione di un diritto di servitù in favore dei convenuti, l'accertamento della presenza della finestra già in passato e per un tempo utile ad usucapire, ha imposto il rigetto della censura.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti al rimborso delle spese, liquidate in euro 3.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge.

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