Condominio

Anche l’obeso è disabile e ha diritto all’ascensore

di Anna Nicola

Il Tribunale di Roma con la decisione del 15 novembre 2018 è ritornato sul tema dell'installazione dell'ascensore in condominio.
Nel caso di specie, si trattava di impianto per un soggetto obeso, a suo uso esclusivo
Com'è noto, <<l'installazione in un edificio in condominio di un ascensore di cui esso sia sprovvisto - a cura e spese di uno dei condomini - va inquadrata nell'uso della cosa comune ex art. 1102 c.c., e quindi può essere consentita nella misura in cui in proposito, è ormai prevalente nella più recente giurisprudenza (Cass. 21.12.2010, n. 25872; Cass. 27.12.2004 n. 24006; Cass. 10.4.1999 n. 3508; Cass. 12.2.1993 n. 1781) l'orientamento per cui la norma dell'art. 1120 primo comma c.c. - che richiede determinate maggioranze per l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini - non può trovare applicazione nella ipotesi in cui l'onere della innovazione sia stato assunto da un solo condomino, o solo da alcuni, per lo specifico ed esclusivo loro interesse alla realizzazione dell'opera>>.
Nel caso in cui un singolo condomino (o un gruppo di essi) voglia creare l'innovazione, secondo il tribunale <<non può che trovare applicazione l'art. 1102 c.c., in forza del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, ed a tal fine - purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto - può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa stessa>>. Per cui, l'applicabilità alla fattispecie concreta della disposizione dell'art. 1102 c.c. <<consente di escludere la necessità di una delibera assembleare di autorizzazione, giacché la realizzazione della innovazione costituisce esplicazione di un diritto del singolo condomino, il quale ben può richiedere direttamente al giudice di accertare che l'opera non travalichi i limiti normativi predetti>>.
Il Giudice capitolino ha delicatamente evidenziato poi che <<Giova premettere che per disabilità - si legge nella sentenza - si intende la presenza di una menomazione fisica o psichica che indica lo svantaggio personale che la persona affetta da tale menomazione vive, non solo nel contesto lavorativo. L'handicap è la conseguenza della disabilità: con il termine handicap si vuole indicare, infatti, lo svantaggio sociale vissuto dalla persona a causa della menomazione di cui è affetta>>. Nel caso di specie era stato prodotto un certificato medico della signora, ultrasessantacinquenne, da cui si ricavava che la stessa era affetta da obesità con diverse complicanze, handicap che si riflette senz'altro nella sfera del movimento.
Da qui la conseguente affermazione che <<non occorre una consulenza medica per comprendere che da una persona in tali condizioni non ci si può aspettare che salga a piedi fino all'ultimo piano dell' edificio senza rischi per la sua salute ed integrità fisica>>.
Alla luce di ciò il Giudice richiama anche il principio di cd. Solidarietà condominiale, già evidenziato dalla Suprema Corte (n. 18334/2012), sulla cui base <<la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento; al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto, peraltro, di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettivo decoro, degli edifici interessati (Corte cost. sentenza 167 del 1999)>>.
La conclusione finale è che <<il fatto che la realizzazione dell'impianto sia indispensabile è fuori discussione, poiché la sua assenza comporta una barriera architettonica che incide in modo così rilevante sulle facoltà di godimento della proprietà degli attori, e prima ancora in una tale limitazione delle loro possibilità di movimento e di vita; da risultare ripugnante all'attuale coscienza sociale>>.

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