Condominio

Il conflitto d’interessi non rileva nelle maggioranze dell’assemblea

di Antonio Nucera

Il conflitto di interessi in ambito condominiale si verifica spesso ma la legge di riforma 220/2012 non è intervenuta sul tema, che è stato affrontato solo da una nutrita serie di sentenze e dagli studiosi. La concretezza delle situazioni, tuttavia, impone di conoscere il problema e suggerire delle soluzioni: si pensi al condomino che si candidi come amministratore, oppure alle ipotesi in cui un condomino proponga di affidare un lavoro (ristrutturazione della facciata dell’edificio, servizio di pulizie, manutenzione del verde eccetera) a una ditta di cui è anche il titolare.

La Cassazione ha espresso due orientamenti: secondo quello più recente, un eventuale conflitto di interessi tra condomino e condominio non rileva ai fini del calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi. È stato affermato, infatti, che «le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condòmini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto».

Ciò significa che «anche nell’ipotesi del conflitto di interesse la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condòmini che rappresentino la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria» (si vedano le pronunce di Cassazione 19131/2015 e 1849/2018).

Secondo un indirizzo più datato, invece, il conflitto d’interessi, pur non rilevando ai fini del quorum costitutivo, ha incidenza, di contro, sul quorum deliberativo, che dovrebbe essere computato con esclusione dei millesimi di cui il condomino in conflitto sia portatore. Questa convinzione deriva dall’interpretazione estensiva della norma dettata, in tema di società per azioni, dall’articolo 2373 del Codice civile, dato che ricorre «in entrambe le fattispecie la medesima ratio, consistente nell’attribuire carattere di priorità all’interesse collettivo rispetto a quello individuale» (Cassazione, sentenza 10683/2002).

La riforma del diritto societario del 2003 ha però riscritto l’articolo 2373, il quale ora non inibisce espressamente il diritto di voto al socio in conflitto di interesse con la società, né prevede che le azioni per le quali non può essere esercitato tale diritto vadano computate solo ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. Più semplicemente riconosce l’impugnabilità della «deliberazione approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società (…) qualora possa recarle danno». Questa riformulazione imporrebbe di rivedere anche il «vecchio» orientamento della giurisprudenza, anche se non tutti gli studiosi del diritto sono d’accordo. Per alcuni, infatti, la modifica non avrebbe inciso sulla sostanza dell’articolo 2373 e quindi non impedirebbe che l’orientamento più datato possa continuare a trovare applicazione.

Una soluzione, però, va trovata ed è quella indicata dall’orientamento più recente della Cassazione (fondato sull’inderogabilità dell’articolo 1136 del Codice civile), senza dubbio da ritenersi quello più coerente in relazione alla disciplina condominiale.

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