Condominio

Il condominio può chiedere il fallimento del condomino moroso

di Giovanna Cobuzzi

Il fallimento della società, condomino insolvente, è stata la conseguenza dell'azione intrapresa da un condominio per interrompere un lungo periodo che vedeva da una parte l'inerzia del debitore e dall'altra la frenetica ed infruttuosa attività per il recupero da parte del condominio. Il percorso tracciato in detta procedura per raggiungere il risultato, offre lo spunto per evidenziarne le fasi e suggerire le possibili soluzioni applicative per il recupero del credito del condominio dal condomino moroso.
Nella prima fase l'amministratore aveva tentato di riscuotere i contributi del condominio, assolvendo l'obbligo previsto dall'art. 1130 c.c. n. 3, ma rimanendo insoddisfatte le richieste inviate al condomino procedeva ad ottenere un decreto di ingiunzione. Occorre ricordare che ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, necessario per tentare, nel caso di mancato pagamento spontaneo da parte del debitore, la riscossione coercitiva esercitabile sia sui beni di proprietà del debitore che su crediti dello stesso presso terzi. L'esecuzione forzata non può aver luogo senza un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, pertanto ottenuta la sentenza l'amministratore aveva tentato senza alcun risultato il pignoramento presso: la sede della condomina debitrice nonché società proprietaria dell'immobile, presso soggetti terzi che risultavano intrattenere rapporti con la stessa e presso gli istituti bancari. Per tutelare il credito intanto l'amministratore del condominio aveva iscritto l'ipoteca sul bene immobile di proprietà del debitore e da cui scaturivano le quote oggetto del recupero del credito.
L'ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall'espropriazione, art.2808 c.c., qualora il bene sia posto in vendita. La successiva operazione di iscrizione dell'ipoteca giudiziale nei pubblici registri immobiliari, art. 2808 c.c. c.2, a favore del condominio comportava il sostenimento di ulteriori spese per la tassa di registro, il bollo, l'imposta ipotecaria, la tassa di trascrizione e le spese del professionista incaricato, ma vista l'importanza dell'adempimento questo non può e non deve essere assolutamente dimenticato dall'amministratore sul quale ricade l'obbligo di curare diligentemente l'azione giudiziaria per la riscossione e la conseguente esecuzione coattiva delle somme dovute al condominio.
Persistendo la totale inerzia del condomino, la morosità dello stesso aumentava con il passare del tempo obbligando la ripetizione della procedura di recupero per le successive quote maturate e l'ulteriore iscrizione ipotecaria giudiziale a garanzia dell'ulteriore credito vantato dal condominio. Non rimaneva che tentare l'esecuzione della vendita dell'immobile, con la prospettiva di dover anticipare tutte le spese necessarie per detta procedura nella consapevolezza che il condominio non avrebbe partecipato alla distribuzione del ricavato in quanto il primo beneficiario sarebbe stato l'istituto che aveva concesso il mutuo fondiario iscrivendo l'ipoteca volontaria di importo ben più elevato rispetto all'ipotetico valore di realizzo, in quanto nel frattempo i valori del mercato immobiliare dalla data di acquisto avevano subito un netto calo. In questi casi l'unico vantaggio rimane quello di accelerare i tempi per il passaggio di proprietà, al fine di attuare le disposizioni dell'art. 63 c. 4 disp. att. cc., che obbligano solidalmente chi subentra nei diritti di un condomino al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e quello precedente.
L'amministratore per non aggravare ulteriormente i condomini per i quali era diventato insostenibile il peso della morosità, sceglie allora di presentare istanza di fallimento. Attualmente la procedura è disciplinata dal R.D. 267/1942 e successive modifiche, che dispone in merito al fallimento che, l'istanza possa essere proposta nei confronti dei soggetti debitori che esercitano attività commerciale, non ricadono nei limiti patrimoniali indicati dall'art. 1 c. 2 e si trovano in stato di insolvenza di cui all'art. 5, manifestato con inadempimenti od altri fatti esteriori che dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. La dimostrazione che la società si trovava in stato di insolvenza è stata fornita raccogliendo ulteriori dati indicativi. Per conoscere la situazione debitoria dell'imprenditore il condominio ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale competente l'autorizzazione ad accedere nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni ed in particolare all'anagrafe tributaria, compreso dei rapporti finanziari e in quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, come previsto dall'art. 492 bis. c.p.c.. Tale dato risultava essenziale in quanto la società che al momento risultava aver cessato la partita iva: non aveva mai pubblicato i propri bilanci dalla sua costituzione; il credito del condominio risultava inferiore alla soglia prevista dalla norma sul fallimento e nella prima fase di istruttoria prefallimentare non erano emersi altri debiti. L'evidente stato di insolvenza veniva sostenuto anche dall'esame della giurisprudenza prevalente che rileva come la cessazione del deposito dei bilanci sia un elemento indicativo della inattività ed impossibilità della società a soddisfare le proprie obbligazioni, elemento rafforzato dall'indagine sulla situazione debitoria del condomino moroso.
L'aver ottenuto la dichiarazione di fallimento del condomino moroso non ha certamente risolto immediatamente i problemi legati al mancato incasso delle quote condominiali, ma ha reso dinamica la posizione dando l'impulso per la vendita dell'immobile senza gravare ulteriormente sulle finanze del condominio, con la possibilità di recuperare il credito, almeno in parte se non completamente.

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