Condominio

Rumore e qualità edilizia impattano sul valore del bene

di Sergio Luzzi

La qualità acustica è diventata una componente importante per stabilire il pregio di un immobile. Si pensi a un condominio con scarso isolamento acustico fra le unità immobiliari, a un ristorante dove dobbiamo urlare per parlare con chi siede al nostro tavolo, superando in volume le voci degli altri avventori e la spesso inutile musica di sottofondo, alle difficoltà del parlato e dell’ascolto in uffici open space e in aule scolastiche troppo riverberanti. E alle notti in camere d’albergo dove il riposo è turbato dal fastidioso e continuo rumore dell’impianto di condizionamento, dallo scrosciare degli scarichi, dalle parole di chi occupa una stanza adiacente. Si può quindi affermare che l’acustica incide sulla qualità della fruizione di un ambiente e ne influenza, conseguentemente, il valore commerciale, qualunque sia la destinazione d’uso.

Ma come è possibile stabilire qual è il minor valore di un immobile affetto da problematiche di rumore rispetto a un altro acusticamente confortevole, privo di immissioni di rumore provenienti dall’esterno, dagli impianti, dagli ambienti vicini? Dal punto di vista delle norme e delle metodiche di stima immobiliare, ferme restando la conformità catastale e urbanistica, il rumore può influire sul valore degli immobili secondo due categorie di valutazione: quella delle immissioni e quella della conformità edilizia.

Le immissioni sono definite dalla legge 447/95 (legge quadro sull’inquinamento acustico) e dai decreti attuativi, in particolare il Dpcm 14 novembre 1997 e il Dm 16 marzo 1998. La misura fonometrica delle immissioni si effettua considerando la quantità e la tipologia del rumore che viene trasmesso all’interno di un ambiente abitativo attraverso finestre, pareti e solai, tubazioni. Si devono considerare le sorgenti disturbanti che si trovano all’esterno dell’edificio così come al suo interno, in porzioni di immobile diverse da quella disturbata. Vi sono limiti assoluti per la quantità totale di rumore che può essere immessa e limiti differenziali che riguardano il contributo netto di rumore che una sorgente può aggiungere al rumore di fondo.

La non conformità acustica degli edifici, anch’essa definita e regolamentata da un decreto attuativo della legge quadro, il Dpcm 5 dicembre 1997, e da specifiche norme, è legata al mancato possesso dei cosiddetti requisiti acustici passivi. Per una unità immobiliare questi requisiti riguardano l’isolamento tra partizioni verticali (pareti) e orizzontali (solai) e l’isolamento della facciata e considerano il rumore trasmesso per via aerea, il calpestio e il rumore generato dagli impianti. I requisiti sono intrinseci, ovvero prescindono dalla collocazione dell’immobile e hanno limiti che sono diversi per le diverse destinazioni d’uso: residenze, uffici, alberghi, ospedali, scuole e così via.

Oltre ai limiti previsti dalla legge quadro, che devono essere comunque fatti salvi, nella valutazione del minor valore di un immobile legata al rumore si deve considerare anche quanto previsto dal Codice civile in materia di normale tollerabilità delle immissioni, di vizi della cosa e risarcimento del danno. In particolare sono da considerare l’articolo 844 del Codice civile per quanto attiene alle immissioni moleste e gli articoli 1490, 1667 e 1669 per la non conformità acustica. È all’applicazione di questi articoli che fanno riferimento le sentenze che hanno stabilito entità di deprezzamento o di risarcimento, con svalutazioni anche pari al 30%, quantificate come costo degli interventi per il ripristino delle condizioni di tollerabilità del rumore e corretto isolamento acustico.

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