Condominio

Quali sono i requisiti e i limiti della delega condominiale?

di Maria Adele Venneri


I requisiti e i limiti della delega

L'istituto della delega condominiale è disciplinato dall'articolo 67 delle "Disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie" (Regio Decreto n. 318/1942), profondamente modificato dalla legge 220/2012, meglio nota come la cosiddetta Riforma del condominio.
La norma sopracitata prevede che ogni condomino può intervenire all'assemblea e che il suo intervento può avvenire anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta.
Ecco quindi indicato il primo requisito essenziale della delega: la forma obbligatoriamente scritta. Questo requisito è frutto della legge di riforma. In passato, infatti, la norma non specificava la forma della delega.
Il condomino, dunque, che non può o, e perché no, non vuole partecipare personalmente all'assemblea di condominio può conferire delega scritta a un altro soggetto, che può essere un altro condomino o un altro soggetto terzo, e sarà quest'ultimo che interverrà in suo nome e per suo conto in assemblea, esercitando il diritto di voto. Il condomino assente sarà così considerato "presente" ad ogni effetto anche al fine della regolare costituzione dell'assemblea.
Ai fini della consegna della delega al delegato, la legge, poi, non vieta di poter utilizzare strumenti come: la raccomandata, l'inoltro a mezzo fax o l'allegato contenuto nella email.
Al comma 2 dall'articolo 67 trova disciplina l'ipotesi di rappresentanza necessaria che si ha nel caso di unità immobiliare in proprietà indivisa a più persone: «qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell'articolo 1106 del codice».
Proseguendo nella lettura dell'articolo si evincono, poi, una serie di "limite numerici".
Innanzitutto, sulla possibilità di intervenire in assemblea a mezzo delega occorre ricordare che: «se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale». Appare chiaro che l'obiettivo prefissato del legislatore è quello di evitare di concentrare in capo ad un unico soggetto delegato il potere di condizionare le scelte da effettuare in assemblea.
Un ulteriore limite "numerico" è posto al terzo comma dell'articolo 67. Il nuovo comma, introdotto dalla riforma, disciplina in modo specifico le assemblee del supercondominio con più di 60 partecipanti: «nei casi di cui all'articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all'articolo 1136, comma 5, del codice, il proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, l'autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. La diffida ed il ricorso all'autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell'amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini».
Occorre evidenziare, inoltre, che l'articolo 67 va letto in combinato disposto con il successivo articolo 72. Quest'ultimo dispone, infatti, che i regolamenti di condominio non possono derogare alle disposizioni del precedente articolo 67; ciò implica che i regolamenti condominiali non possono prevedere limiti maggiori rispetti a quelli già previsti dal legislatore circa la rappresentazione in assemblea. Questi limiti qualora apposti sono da considerare non più in vigore.
Infine, in merito alle deleghe si segnala un limite assoluto introdotto dalla riforma. L'articolo 67, al comma 5, stabilisce che: «all'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea». In passato, infatti, in assenza di disposizioni specifiche, era ritenuta ammissibile la possibilità da parte di uno o più condòmini di delegare all'amministratore. Consentire il conferimento di deleghe all'amministratore implicava, però, l'insorgere di dubbi nei casi in cui l'assemblea era chiamata a deliberare in merito ad argomenti inerenti alla carica dell'amministratore stesso o al suo operato. Era evidente l'insorgenza, anche solo paventata, di un conflitto di interessi.
Dopo la riforma, dunque, la delega all'amministratore è sempre illegittima a prescindere dalla sussistenza o meno del conflitto d'interessi.
Poi, anche se non vi è un'espressa disposizione normativa circa le conseguenze della violazione di tale divieto (nullità o annullabilità della delibera, nullità della riunione assembleare), è evidente che la relativa delibera dell'assemblea potrà essere impugnata dal condomino, che ne ha interesse, con i mezzi e nei termini dell'articolo 1137 cod.civ. ovverosia attraverso la richiesta di l'annullamento all'autorità giudiziaria.

La sentenza n. 1662/2019 e il conflitto d'interessi dell'amministratore di condominio

Nel maggio 2009 (ante riforma del condominio) dei consorti impugnavano dinanzi il Tribunale di Milano delle delibere assunte dall'assemblea di condominio tenutasi nel mese di marzo dello stesso anno. Il condominio evocato resisteva in giudizio contestando la fondatezza dell'avversa impugnazione e rilevandone la tardività.
Poiché il Tribunale rilevava la tardiva impugnazione, i ricorrenti proponevano ricorso in appello. La Corte d'Appello rigettava l'appello «osservando come le delibere impugnate erano - eventualmente - affette da vizi importanti annullabilità in quanto era denunziata irregolare costituzione dell'assemblea ed illegittimo computo dei voti…».
I consorti ricorrevano, dunque, in Corte di Cassazione affidando il ricorso a tre motivi e per quanto qui rileva la doglianza da esaminare è la seguente: «i consorti […] deducono violazione della norma ex art 1137 cod. civ. poiché erroneamente la Corte ambrosiana ha ritenuto che i vizi dedotti con il ricorso originario configurassero annullabilità delle delibere e, non già, nullità ed un tanto per contrasto con l'insegnamento di questa Suprema Corte».
Dispone, infatti, il secondo comma dell'articolo 1137 codice civile, anch'esso modificato dalla Riforma, che: «contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti». Mentre, dunque, le delibere inesistenti e nulle sono aggredibili in ogni tempo, per le delibere annullabili, disciplinate dal sopracitato articolo, può essere adita con atto di citazione l'autorità giudiziaria ordinaria nel termine di 30 giorni. Appare chiaro come questa differenza abbia inciso sull'esito del caso in esame.
Prosegue, poi, il Collegio: «tuttavia va notato come espressamente i consorti […] ebbero a rilevare violazioni afferenti la costituzione dell'assemblea e la regolarità della votazione delle delibere poiché contestavano il fatto che l'amministratore avesse votato anche per condomini assenti con deleghe non valide. In particolare era rilevata situazione di conflitto d'interessi in capo all'amministratore in relazione alla sua posizione anche di delegato dei condomini assenti. Tuttavia detta situazione si configura propriamente quando il soggetto, in posizione particolare quale rappresentante, curi interesse proprio invece di quello del suo mandante. Orbene nella specie l'amministratore esprimeva il voto per i condomini assenti sicché non palesava sua volontà, bensì era portatore di volontà altrui, di conseguenza il conflitto d'interesse appare configurarsi soltanto se l'amministratore non ebbe ad esprimere esattamente la volontà lui demandata dal mandante, il quale unico potrà lamentare un tanto non anche l'estraneo al rapporto. Nella specie non appare profilarsi situazione omologa a quella in tema di società di capitali laddove l'amministratore ne esprime la volontà, poiché viene unicamente dedotto che l'amministratore condominiale non poteva utilizzare la delega ricevuta dai condomini assenti concorrendo conflitto d'interesse, senza nemmeno una chiara identificazione circa l'essenza in concreto del denunziato conflitto. Difatti o viene dedotto e comprovato dal denunziante che l'amministratore ha espletato in assemblea, quale delegato, attività di convincimento di altri condomini presenti ovvero espresso voto in difformità rispetto alla volontà lui affidata dal delegante, oppure il conflitto d'interesse con l'ente condominiale deve esser individuato in capo al condomino rappresentato, ma in entrambe le situazioni concrete si realizza mero vizio procedimentale nella formazione della volontà assembleare e lo stesso dà origine a mera annullabilità non attingendo i diritti dominicali del singolo condomino».
La Corte di Cassazione, pertanto, ha ritenuto infondato il motivo sopra esaminato e ha provveduto a rigettare il ricorso.

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