Condominio

Appropriazione indebita, basta la «disobbedienza»

di Paolo Accoti

Condanna per appropriazione indebita per l'amministratore che utilizza le somme per finalità diverse da quelle imposte dai condòmini. Si registra così, con la sentenza 9578/2019 della Cassazione ,un ennesimo capitolo nella vicenda che spesso vede contrapposti i condòmini all'amministratore, nella gestione economica del condominio, e sulle conseguenze penali che possono derivare dalle condotte dell'amministratore nell'utilizzo del patrimonio condominiale.
Il tipico esempio è quello dell'appropriazione indebita, per la quale, ai sensi dell'art. 646 Cp, chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di denaro di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032,00 euro, per la quale ora, a seguito del D.Lgs. n. 36 del 10.04.2018 con il quale si è dato attuazione alla delega di cui all'articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17 della Legge 23 giugno 2017, n. 103, è stata esclusa la procedibilità d'ufficio nelle ipotesi aggravate e, per quel che interessa in questa sede, nel caso ricorra taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61 Cp e, in particolare, se il fatto è stato commesso con abuso di relazioni d'ufficio, come appunto, nell'ipotesi in cui a commettere il reato sia l'amministratore del condominio.
Pertanto, esclusa ora la procedibilità del delitto di appropriazione indebita, anche nell'ipotesi aggravata sopra detta, il reato rimane perseguibile esclusivamente a querela di parte, da presentarsi entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato (art. 124 Cp).
La riforma del condominio attuata con la L. 220/2012 ha portato, tra l'altro, all'obbligo per l'amministratore di far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio e che, inoltre, lo stesso non può gestire il condominio con modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini sotto pena, in mancanza, di revoca giudiziale.
Al riguardo, è stato ritenuto responsabile del reato di appropriazione indebita l'amministratore che, dopo aver accesso a suo nome un conto corrente bancario, cd. conto di gestione, nel quale confluivano i fondi di diversi condomìni dallo stesso amministrati, provvedeva poi ad effettuare i pagamenti relativi alle spese di tali condomìni, perché, in tal modo, una volta confluite tutte le somme sul conto “comune”, è evidentemente fisiologico e “automatico” che le spese di un condominio siano pagate con i soldi di un altro condominio, risultando irrilevante la circostanza relativa all'effettivo utilizzo di parte delle somme versate nel conto corrente “di gestione” per i pagamenti dovuti ai fornitori dei singoli condomini (Cass. pen., n. 57383/2018).
In altri termini, ciò sta a significare che il reato appare configurabile anche nella sola ipotesi della mera “distrazione” di tali somme, senza alcuna effettiva appropriazione da parte dell'amministratore.
Tanto perché, nei casi di consegna del danaro con espressa limitazione del suo uso o con un preciso incarico di dare allo stesso una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso, come avviene nel caso del versamento delle quote condominiali, i condòmini imprimono allo stesso una determinata destinazione che, appunto, è quella di remunerare un particolare servizio reso in favore del condominio.
Va da sé che il possesso di quel denaro da parte dell'amministratore, non conferisce allo stesso il potere di compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con il diritto poziore del condomino e, ove ciò avvenga, si commette il reato di appropriazione indebita (Ex multis: Cass. pen. n. 50672/2017, Cass. pen., n. 24857/2017; Cass. pen., n. 12869/2016; Cass. pen., n. 46474/2014).
Tali principi sono stati riaffermati di recente dalla Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 9578, pubblicata in data 5 Marzo 2019.
La Suprema Corte ricorda, infatti, che <<il delitto di appropriazione indebita si realizza rispetto alle somme di denaro che siano affidate al detentore con un vincolo di destinazione, con l'accertamento della mancata destinazione delle somme alla finalità convenuta, indipendentemente dall'individuazione dell'atto di disposizione che sia stato effettuato con l'uso di tali somme.>>.
Nel caso concreto era stato accertato che, a fronte degli incassi di somme da parte dell'amministratore per i pagamenti delle spese condominiali, era risultato un ammanco di tali somme le quali, logicamente, erano state destinate in maniera difforme alla volontà e alla finalità impressa dai condòmini che quei versamenti avevano effettuato.
Tanto, specifica la Suprema Corte, <<era sufficiente per dimostrare la responsabilità dell'imputato, considerata la veste di mandatario dell'imputato e l'assenza di prove contrarie fornite dallo stesso per giustificare la differenza tra le somme che dovevano risultare in cassa o impiegate per i pagamenti, e le somme effettivamente rinvenute>>, con la conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso, e la conferma della condanna per appropriazione indebita dell'amministratore del condominio.

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