Condominio

Gli accordi sulle spese non valgono con i proprietari che si succedono

di Valeria Sibilio


Chi frequenta regolarmente le assemblee condominiali, conosce il caotico susseguirsi di eventi che animano queste riunioni propedeutiche alla formulazioni di delibere che, non raramente, vengono poi impugnate da uno o più condòmini. Come nel caso della sentenza 4 del 2019, dove la Corte d'Appello di Roma ha espresso il proprio parere decisionale in merito al ricorso presentato da un condominio contro l'accoglimento della domanda di annullamento di delibera presentato da una società operante all'interno del condominio stesso.
La Società, proprietaria di tre unità immobiliari site nell' edificio condominiale, aveva chiesto al Tribunale di Roma, l'invalidità della delibera assembleare del 9.11.2011 di approvazione del bilancio consuntivo relativo alla gestione ordinaria dell'esercizio 2010 e il bilancio preventivo relativo alla gestione ordinaria dell'esercizio 2011, che poneva a proprio carico un'ulteriore posta contabile qualificata come “addebito individuale” e contributo di Euro 1.500,00, in aggiunta ai contributi ordinari. La Società deduceva che tale addebito di somma aggiuntiva doveva ritenersi illegittima, poiché, secondo la prospettazione del Condominio, trovava fondamento in una precedente delibera del 16 maggio1983, a lei inopponibile, in quanto frutto di accordi intervenuti fra la precedente proprietaria e il Condominio, in deroga alla disciplina normativa concernente i criteri di ripartizione delle spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione di servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza ed al regolamento condominiale.
Il Condominio eccepiva, in via preliminare la tardività dell'impugnazione ex art. 1137 cc , l'incompetenza per valore del Giudice adito in favore del Giudice di Pace, il difetto di legittimazione attiva e l'infondatezza della domanda in fatto ed in diritto, chiedendone il rigetto. Il giudice monocratico, con la sentenza impugnata, dichiarava la nullità della delibera assembleare, sia pure limitatamente al capo relativo all'approvazione del bilancio consuntivo 2010, posto che nel bilancio preventivo 2011 tale addebito individuale non era stato attivato.
Il condominio impugnava la sentenza, ritenendola ingiusta ed erronea, chiedendo, in via preliminare e pregiudiziale, la dichiarazione d'incompetenza per valore del Tribunale di Roma e la ricusazione, per infondatezza, dell'opposizione spiegata dalla società con condanna della stessa alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.
La società, costituendosi in giudizio, contrastava i motivi di gravame, chiedendo il rigetto dell'appello, con condanna dell'appellante alla rifusione delle spese di lite e al risarcimento del danno per responsabilità aggravata.
La Corte di secondo grado, esaminando i motivi di appello, ha evidenziato che, con il secondo motivo, l'appellante reitera l'eccezione di incompetenza in relazione alla domanda azionata dalla Società, odierna appellata, asseritamente rientrante nella competenza del Giudice di Pace, stante l'ammontare delle somme contestate. Un motivo ritenuto infondato e rigettato in quanto, come evidenziato dal giudice di prime cure, l'oggetto dell'intera delibera impugnata era l'approvazione del bilancio e, pertanto, il valore della causa deve essere rapportato all'intero ammontare del bilancio condominiale. A ciò deve aggiungersi che occorre aver riguardo alla portata globale della delibera assembleare contestata la quale, basandosi sulla pretesa efficacia della delibera del 18 maggio 1983, che oltre ad aver posto a carico dell'odierna appellata un onere supplementare in aggiunta a quelli ordinari stabiliti in base ai valori millesimali delle unità immobiliari di proprietà, poneva a suo carico un onere aggiuntivo permanente. Pertanto, il valore della controversia è stato valutato in relazione al periodo, non prevedibile, di vigenza di tale onere.
La competenza del Tribunale è stata, perciò, ritenuta sussistente. Nel terzo motivo, l'appellante contesta che il giudice di prime cure aveva omesso di pronunciarsi in ordine all'eccezione di difetto di legittimazione attiva della società, avendo quest'ultima solo dedotto, ma non dimostrato, di essere proprietaria di tre unità immobiliari nello stabile condominiale, con il conseguente necessario rigetto della domanda attorea. Un motivo anch'esso giudicato infondato. L'eccezione era stata implicitamente rigettata dal Giudice di prime cure, alla luce dei documenti prodotti agli atti, provenienti anche dallo stesso Condominio, evidenzianti la titolarità del diritto dominicale sulle unità immobiliari in capo alla Società appellata, rendendo superflua ogni ulteriore verifica.
Nel primo motivo, l'appellante lamentava il fatto che il Giudice di prime cure, nell'affermare che la delibera del 16 maggio 1983 non avesse modificato il regolamento condominiale e quindi non era opponibile alla successiva proprietaria delle unità immobiliari, non aveva, a suo dire, valutato i fatti, dedotti dal Condominio e non oggetto di espressa contestazione da parte della società, argomentando che la delibera del 1983, costituiva uno specifico accorcio contrattuale tra la precedente proprietaria ed il Condominio, comportando, a prescindere dalla diversa formula utilizzata, la parziale modifica dell'art. 29 del regolamento condominiale, relativo alla ripartizione delle spese in base alle tabelle millesimali nel senso che, permanendo l'utilizzo ad ufficio delle tre unità immobiliari, il proprietario delle stesse avrebbe sopportato un maggior onere di spesa nella misura convenuta.
Tali circostanze, unitamente al fatto che la società subentrata alla precedente proprietaria aveva sempre corrisposto al Condominio il maggior importo annuale convenuto, dovevano ritenersi non contestate e, quindi, il Giudice avrebbe dovuto porle a base della sua decisione. Con il quarto, l'appellante, deduceva che il Giudice di prime cure era incorso nel vizio di ultra petizione per avere accertato e dichiarato la nullità della delibera del 18 maggio 1983, mentre la società aveva fondato la propria azione sulla asserita operatività del principio in base al quale non sarebbe opponibile al Condòmino, successivo proprietario di una unità immobiliare, l'accordo intervenuto con gli altri nove condomini. Con il quinto motivo, l'appellante ribadiva l'infondatezza della impugnativa della delibera condominiale del 9 novembre 2011, precisando che, poiché la precedente delibera del 16 maggio 1983 aveva modificato il regolamento condominiale, e che il regolamento deve ritenersi vincolante per tutti i condòmini, anche la società subentrata doveva ritenersi vincolata a tale regolamento, con riguardo alla differente ripartizione delle spese.
Tre motivi di impugnativa, connessi ed esaminati congiuntamente e giudicati infondati. Nella delibera del 1983 si leggeva espressamente che tale accorcio non costituiva modifica al regolamento Condominiale, quindi, per espressa volontà delle parti, non si era realizzata alcuna modifica al regolamento e, pertanto, trattandosi di una deroga convenzionale ai criteri legali di ripartizione delle spese disciplinati in via regolamentare, era escluso che tale accordo, stipulato con la precedente proprietà, potesse avere una valenza ìanche nei confronti del successivo acquirente.
Il Giudice aveva rigettato la domanda attorea, riferendosi alla vecchia delibera del 1983 solo in via di argomentazione esplicativa e non per dichiararne la nullità, al fine di ribadire che non vi era stata alcuna modifica del regolamento condominiale, ma solo un accordo convenzionale intervenuto tra la precedente proprietaria ed i condòmini, e, come tale, non opponibile al nuovo acquirente in mancanza di prova che lo stesso lo abbia accettato in sede di stipula dell' atto di compravendita. Poiché la formazione di un regolamento condominiale è soggetto al requisito della forma scritta, si è esclusa la possibilità di una modifica del regolamento per il tramite di comportamenti concludenti. Peraltro, non sussisteva alcun motivo per il quale le circostanze dedotte dal Condominio non sarebbero state contestate in quanto l'odierna appellata aveva contestato una ripartizione delle spese condominiali difforme da quanto stabilito nel regolamento condominiale, impugnando la delibera condominiale eccependo proprio la circostanza che detta delibera non fosse a lei opponibile.
Infine, con il sesto motivo, l'appellante lamentava l'erronea decisione in merito alle spese processuali, in quanto a fronte di una soccombenza reciproca, aveva condannato il Condominio all'integrale pagamento delle spese processuali senza alcuna adeguata motivazione al riguardo. Anche tale motivo di appello è apparso infondato in quanto il giudice di prime cure aveva condannato il Condominio sul presupposto della sua prevalente sostanziale soccombenza, avendo affermato un principio di carattere generale destinato a dirimere l'annosa controversia fra il Condominio e l'odierna appellata.
La Corte ha, perciò, rigettato l'appello, condannando il condominio appellante al pagamento delle spese processuali, in favore della società, liquidate in euro 5.100,00, di cui euro 100,00 per spese ed euro 5.000,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge, ed all'ulteriore pagamento di euro 5.000,00 ai sensi ai sensi dell'art. 96, terzo comma, cod. o proc. civ., oltre al versamento dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'appello.

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