Condominio

Le norme sulle distanze devono essere rispettate anche tra condòmini

di Edoardo Valentino

Il condomino che costruisca sulla sua proprietà esclusiva deve rispettare le norme sulle distanze tra le costruzioni e non può invocare, a sua difesa, l'art. 1102 del Codice Civile affermando che la costruzione sia lecita in quanto uso più intenso della cosa comune da parte del condomino.
Con questo principio la sentenza numero 5732 del 27 febbraio 2019 della Seconda Sezione della Corte di Cassazione rigettava il ricorso promosso da un condomino.
Questi era stato convenuto in giudizio in prime cure dal vicino di casa, anch'egli condomino dello stabile, il quale aveva agito al fine di ottenere la rimozione di una costruzione eseguita dal convenuto in un'area scoperta di sua proprietà esclusiva.
Il convenuto si era difeso affermando come nel caso in oggetto non potesse applicarsi l'ordinaria normativa sulle distanze, ossia l'art. 907 del Codice Civile, ma – trattandosi di unità immobiliari site nello stesso condominio – si dovesse fare riferimento alla disposizione di cui all'articolo 1102 del Codice.
La prima norma citata, difatti, prevede una rigida normativa che stabilisce una distanza di almeno tre metri dal fondo contiguo per una nuova costruzione, mentre l'art. 1102 del Codice Civile afferma al primo comma che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.
Il Tribunale, in primo grado, rigettava la domanda proposta, ma la Corte d'Appello ribaltava l'esito del giudizio dichiarando tenuto il convenuto alla riduzione in pristino della struttura, rilevando come nel caso in questione dovesse trovare applicazione la normativa sulle distanze di cui all'articolo 907 del Codice Civile.
Sebbene ci si trovasse in un contesto condominiale, continuava il giudice d'appello, non appariva pertinente il richiamo all'art. 1102 C.c. dato che la costruzione non era avvenuta sul suolo condominiale, ma su proprietà esclusiva della parte convenuta.
Il convenutodepositava allora un ricorso per Cassazione fondato su quattro motivi di diritto.
In prima battuta il ricorrente lamentava come la controparte avesse rilevato solo in sede di appello l'inapplicabilità alla fattispecie dell'art. 1102 C.c., limitandosi a censurare la violazione dell'art. 907 C.c. in primo grado.
Tale motivo veniva rigettato in quanto la Cassazione sosteneva come la prospettazione dei fatti da parte dell'attore fosse stata costante nel corso del giudizio e che dalla citata violazione dell'art. 907 C.c. dovesse, per converso, ricavarsi l'inapplicabilità dei principi sull'uso della cosa comune contenuti nell'art. 1102 C.c.
Con ilsecondo motivo il ricorrente denunciava una asserita falsa applicazione degli articoli 907 e 1102 del Codice Civile. Secondo la parte, difatti, data la collocazione degli immobili oggetto di causa in un condominio, ai fini della decisione sarebbe dovuta prevalere l'applicazione dell'art. 1102 C.c. in ottica di contemperamento tra esigenze contrapposte e volta ad ottenere un maggiore godimento della cosa comune.
Il secondo motivo veniva parimenti considerato infondato.
Secondo gli Ermellini, difatti, «sebbene le due unità immobiliari dei contendenti siano ubicate in un condominio, il manufatto di cui si denuncia l'illegittimità è stato posto non su di un'area comune, ma a copertura di un'area scoperta annessa alla proprietà esclusiva del ricorrente e a sua volta appartenente a quest'ultimo in regime di proprietà esclusiva».
La questione in oggetto, quindi, non atteneva a questioni di uso più intenso del bene condominiali, ma a un conflitto tra diritti di due diverse proprietà esclusive.
In applicazione della giurisprudenza della Cassazione (in particolare della sentenza n. 955/2013) si affermava come il proprietario di un singolo piano in un condominio abbia il diritto di veduta dalle proprie aperture a piombo fino alla base dell'edificio e la possibilità, di conseguenza, di opporsi alla costruzione innalzata dal condomino sito al piano terra (nella fattispecie di un pergolato nel proprio giardino privato posto alla base dell'edificio).
Con il rigetto dei restanti due motivi (attinenti alla quantificazione del risarcimento spettante all'attore e al rimborso delle spese giudiziali) la Cassazione respingeva integralmente il ricorso e condannava la parte proponente a sostenere le spese della causa.

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