Condominio

Appalto, il contratto è risolto quando i vizi sono irrimediabili

di Selene Pascasi


La garanzia per difformità e vizi dell'opera prevista in materia di appalto offre al committente la possibilità di agire per l'eliminazione delle anomalie a spese dell'appaltatore, per la riduzione del prezzo o per la risoluzione del contratto salvo il risarcimento del danno in caso di colpa dell'appaltatore.
Di conseguenza, se il committente non proceda né per l'eliminazione dei difetti, né per la riduzione del compenso, né per la risoluzione – ma si limiti a domandare l'accertamento della non debenza del corrispettivo e il risarcimento del danno – la sua richiesta andrà inquadrata ai sensi dell'articolo 1668 comma 2 del Codice civile, trattandosi dell'unica ipotesi che gli consentirebbe di esimersi dall'integrale pagamento del dovuto. Questa via, però, è praticabile solo qualora si riscontrino difformità o vizi dell'opera tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione. Lo precisa il Tribunale di Milano con sentenza n. 10713 del 23 ottobre 2018.
Ad aprire la lite è una s.p.a. che, ordinati alcuni lavori, si lamenta della corretta esecuzione e contesta il pagamento della fattura emessa dall'appaltatrice: quegli interventi, spiega, non avevano risolto le problematiche rinvenute sui motori oggetto di intervento, “colpiti” da diverse avarie. All'esito della consulenza tecnica, il tribunale boccia la pretesa: la committente, pur lamentatasi della mancata esecuzione dell'appalto a regola d'arte, non aveva agito né per l'eliminazione delle difformità, né per la riduzione dell'importo concordato, né per la risoluzione contrattuale, limitandosi a chiedere che si accertasse la non debenza di quanto fatturato.
Tattica difensiva sbagliata, dunque, quella adottata dalla s.p.a. In tema di appalto, infatti, marca il giudice milanese richiamando la sentenza della Corte di cassazione n. 3199/2016, l'articolo 1668 del Codice civile – nell'enunciare il contenuto della formula di garanzia – dota il committente della possibilità di agire per l'eliminazione dei vizi a spese dell'appaltatore, per la riduzione del prezzo o per la risoluzione del contratto salvo il risarcimento del danno in caso di colpa dell'appaltatore.
Strade che, però, la società non aveva percorso essendosi limitata a chiedere l'esonero totale dal pagamento. La sua domanda, perciò, andava qualificata ai sensi secondo comma dell'articolo 1668 del Codice civile, unica evenienza in cui il committente – scoperti «difformità o vizi dell'opera tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione» – può esimersi dal versare il dovuto.
Tuttavia, dai carteggi processuali non era emerso che i servizi prestati dalla ditta fossero stati del tutto inidonei allo scopo per il quale era stata incaricata o, comunque, non era stata appurata l'esistenza di criticità così gravi da giustificare la totale inadeguatezza dei servizi e, quindi, la non debenza del compenso. Peraltro, ricorda il giudice, per la risoluzione del contratto di appalto per vizi dell'opera si esige un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per vizi della cosa, laddove – se per l'articolo 1668 del Codice civile la risoluzione è legata a vizi che vanifichino il suo scopo – l'articolo 1490 dello stesso codice si riferisce ad anomalie che diminuiscano apprezzabilmente il valore della cosa con riguardo agli interessi del creditore.
In estrema sintesi, la risoluzione del contratto d'appalto è «ammessa nella sola ipotesi in cui l'opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole sulla struttura e funzionalità della medesima sì da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dal primo comma dell'art. 1668 c.c., salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore». Si comprendono, allora, le ragioni per cui il Tribunale di Milano – escluso che l'opera prestata dall'appaltatrice potesse dirsi completamente inidonea alla sua destinazione e non essendo stata formulata dalla committente una domanda di riduzione del corrispettivo – non poteva che respingere la domanda della s.p.a. attivatasi solo per l'accertamento della non debenza del compenso.

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