Condominio

La messa in vendita del bene indiviso non è una «nuova domanda» in appello

di Edoardo Valentino

La domanda di attribuzione di un immobile non ha natura negoziale, ma costituisce invece una modalità di attuazione della divisione che si risolve nella mera specificazione della pretesa introduttiva del giudizio mirata a definire la comunione.
Quello sopra riportato è il principio cardine della sentenza di Cassazione numero 3497 del 6 febbraio 2019 con la quale la II Sezione ha confermato il principio giurisprudenziale già più volte affermato dalla Suprema Corte.
Il caso che ha dato luogo alla sentenza prende le mosse da un giudizio intentato in prime cure da due sorelle nei confronti del fratello coerede.
Le sorelle domandavano al Tribunale l'accertamento della lesione della loro quota di legittima compiuta con la disposizione testamentaria della defunta e, per l'effetto, domandavano l'accertamento del loro diritto di partecipare all'eredità.
Il Tribunale disponeva lo scioglimento della comunione ereditaria e assegnava l'unico bene al convenuto, ponendo a suo carico il pagamento del conguaglio in denaro a favore delle sorelle coeredi.
Agiva in grado di appello il convenuto, lamentando una sovrastima del bene assegnato da parte del Tribunale e chiedendo di mettere il bene in vendita.
La Corte d'Appello, nella resistenza delle due sorelle, rigettava il gravame del ricorrente considerando inammissibile perché nuova, rispetto a quanto deciso in primo grado, la domanda di messa in vendita dell'immobile assegnato allo stesso in primo grado.
Il fratello, a seguito della duplice soccombenza, agiva quindi in Cassazione depositando un ricorso con il quale egli affermava come la Corte d'Appello avesse violato l'articolo 720 del Codice Civile nel ritenere inammissibile l'istanza di messa in vendita del bene assegnato, dato che tale richiesta non consisteva in una domanda in senso proprio, ma piuttosto una modalità attuativa dello scioglimento della comunione.
La norma, in particolare, afferma che «Se nell'eredità vi sono immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene, e la divisione dell'intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l'attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all'incanto».
Con la sentenza in commento la Cassazione accoglieva le richieste del ricorrente.
Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d'Appello avrebbe errato nel ritenere inammissibile l'istanza del ricorrente di procedere alla vendita dell'immobile dopo avere chiesto in primo grado l'assegnazione dell'intero, dato che “la domanda di attribuzione di un immobile indivisibile, lungi dal rivestire natura negoziale, secondo l'orientamento costante di questa Corte, costituisce una modalità attuativa della divisione e si risolve nella mera specificazione della pretesa introduttiva del processo rivolta a porre fine allo stato di comunione, come tale invero formulabile anche in appello” (così anche Cass. 2 giugno 1999 n. 5392; Cass. 14 maggio 2008 n. 12119).

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