Condominio

Il disturbatore della notte castigato dalla Cassazione

di Valeria Sibilio

Quante volte, all'interno dell'universo condominiale, è capitato di sentire lamentele per schiamazzi notturni derivati da musica alta e, talvolta, anche risse che culminavano con l'intervento delle forze dell'ordine. Queste ultime sono state tra le protagoniste della sentenza 4462 del 2019 , nella quale la Cassazione ha esaminato un caso in cui il ricorrente era stato condannato in primo grado, con sentenza confermata anche in secondo, per il reato di disturbo alla quiete pubblica notturna (articolo 659 del Codice penale), cantando a squarciagola e tenendo alto il volume della radio della sua autovettura parcheggiata sulla pubblica via, oltre ad aver rifiutato di declinare le proprie generalità e di esibire i documenti ai carabinieri, intervenuti in seguito ad una segnalazione per i suddetti fatti, spintonandoli e ingaggiando con loro una colluttazione, mentre cercavano di contenerlo, e recando loro lesioni personali.
Il ricorrente articolava il proprio ricorso per cassazione su sei motivi. Nel primo, lamentava che la Corte di appello avrebbe superato i rilievi difensivi con argomentazioni illogiche e giuridicamente irrilevanti, tenuto conto che i finestrini dell'auto erano chiusi e difettava la prova del turbamento di un numero indeterminato di persone. Inoltre, il livello del rumore all'interno dell'auto, per essere udito all'esterno, doveva essere tale da risultare insopportabile per lo stesso ricorrente.
Nel secondo motivo, per l'attore la motivazione della sentenza impugnata avrebbe sorvolato sul fatto che il ricorrente non si era rifiutato di esibire i propri documenti, ma aveva chiesto, sin dall'inizio, ai militari di qualificarsi, temendo di essersi imbattuto in dei malintenzionati. In modo illogico, inoltre, la Corte di appello avrebbe accertato che l'imputato si era reso conto della qualità degli interlocutori, a fronte dell'ostinato rifiuto dei militari ad esibire il loro distintivo e della circostanza che l'auto di servizio, considerato anche il fatto che pioveva, non era visibile al ricorrente e che i militari non vestivano la divisa ordinaria dei Carabinieri.
Nel terzo motivo, il ricorrente chiariva che egli, impaurito per gli agenti che lo avevano accerchiato, si era limitato ad allontanarli e non ad opporsi ad un atto del loro ufficio, mentre, nel quarto motivo, lamentava che gli operanti, non qualificandosi, non avrebbero agito adeguatamente e secondo etica.
Nel quindo motivo, il ricorrente si doleva che la Corte di appello, nel ritenere dolose le lesioni cagionate agli agenti, non avrebbe fatto buon governo dei principi in tema di colpa e dolo, oltre a travisare completamente e scomposto le deposizioni testimoniali. Le lesioni dagli agenti erano state accidentali o al più colpose e gli stessi avrebbero dichiarato che il ricorrente si sarebbe soltanto “irrigidito”, al momento dell'ammanettamento, tenendo una posizione immobile. Difetterebbe quindi il dolo intenzionale, non essendovi neppure alcuna motivazione in ordine al dolo eventuale.
Nel sesto ed ultimo motivo, la Corte di appello, non motivando, avrebbe ricondotto l'importo, liquidato in primo grado a titolo di risarcimento del danno unicamente al turbamento psichico provato dal ricorrente, senza che tuttavia fosse stata raggiunta la prova dello stesso e ricorrendo ad una quantificazione “pura” ovvero non fondata su criteri obiettivi.
Gli ermellini, hanno dichiarato il ricorso inammissibile, premettendo che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata e convincente, valutazione delle risultanze processuali. Le censure del primo motivo, oltre a rivelarsi infondate, non sono consentite in sede di Cassazione. Non sono necessarie né la vastità dell'area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio. Nella specie, oltre alla persona che aveva segnalato il disturbo, erano stati gli stessi agenti intervenuti sul posto ad aver constatato l'idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone.
Il secondo motivo, invece, articola censure affette da inammissibilità. La Corte di appello aveva escluso sia che l'imputato non fosse lucido, a causa dello stato di ebbrezza, visto che aveva rivolto agli operanti la richiesta di qualificarsi. Inoltre, non ha fondamento il fatto che il ricorrente non avesse potuto rendersi conto della qualità degli operanti, tenuto conto che l'auto di servizio dei carabinieri, con lampeggianti blu accesi, era rimasta sempre affiancata in zona illuminata a quella dell'imputato e che gli stessi operanti indossavano la divisa con i chiari segni dell'Arma. (giacca a vento con i gradi rossi, bandoliera bianca, pantalone con banda rossa).
Nel terzo motivo, il ricorrente riproponeva argomenti già esaminati nei precedenti per sostenere che difetterebbero anche gli estremi del suddetto reato. La sentenza impugnata ha evidenziato che il ricorrente, nonostante l'arrivo di una seconda pattuglia di Carabinieri, aveva proseguito nella sua condotta oppositiva, tanto da rendere difficile il suo ammanettamento.
Senza alcun fondamento il quarto motivo. L'allegazione, da parte dell'imputato, dell'erronea supposizione della sussistenza di una causa di giustificazione, deve basarsi non già su un criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato. Per cui, la tesi sostenuta dal ricorrente, ovvero l'erronea convinzione che gli agenti fossero due malintenzionati, era stata ritenuta, dalla Corte di appello, priva di alcun concreto appiglio.
In ordine al quinto motivo, relativo alla ritenuta responsabilità per il reato di lesioni dolose, si deve rilevare che ancora una volta il ricorrente si affidava a non consentite articolazioni dei dedotti vizi, proponendo soltanto una rinnovata lettura delle evidenze probatorie, selezionando i passaggi, a suo avviso, più significativi a sostegno della tesi difensiva.
Anche il sesto motivo relativo alla liquidazione del danno, non ha superato il vaglio di ammissibilità. La Corte di appello aveva ritenuto provato il danno morale in relazione alle lesioni refertate, rapportando l'importo liquidato all'intensità del turbamento psichico derivato dalla veemenza e dalla durata della violenza, cessata solo grazie all'intervento di un terzo e di un'altra pattuglia.
La Cassazione ha, perciò, dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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