Condominio

Innovazione e modificazione di parti comuni, la Cassazione individua le differenze

di Rosario Dolce

La S uprema Corte di Cassazione con la Sentenza del 15 gennaio 2019 n. 857 (Giudice relatore Antonio Scarpa) delinea la differenza tra le nozioni di “innovazione”, di cui all'articolo 1120 codice civile, è quella di “uso comune” di cui all'articolo 1102 codice civile.
Il fatto da cui prende spunto la vicenda trattata è una lite sorta tra i proprietari dell'ultimo piano di un edificio condominiale e gli altri partecipanti al condominio stesso, a fronte della portata dell'opera da questi eseguita sulla copertura del fabbricato. Nella specie, si ha riguardo ad un intervento “privato” di trasformazione del tetto da tre e due falde, con inserimento di una struttura in acciaio e la realizzazione di una nuova unità abitativa al posto di una preesistente soffitta (la quale consentiva l'accesso comune al tetto tramite una botola).
I giudici di legittimità hanno sussunto l'intervento di ristrutturazione di che trattasi nell'ambito della previsione di cui all'articolo 1102 e non in quella dell'innovazione di cui all'articolo 1120 codice civile, qui rilevando la distinzione tra le due fattispecie normative, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.
Sotto il profilo oggettivo – per come argomentato nel provvedimento in commento – le “innovazioni” consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le “modificazioni”, le quali si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati dalla stesso disposto, consistono in opere volte ad ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa.
Sotto il profilo soggettivo – così continua l'argomentazione offerta al riguardo - la differenza tra i due “istituti” si rileva nell'interesse che ne supporta la realizzazione e nelle modalità attraverso cui esso viene in evidenza.
Mentre nelle “innovazioni” sussiste un interesse collettivo, il quale deve essere supportato da una maggioranza qualificata, da esprimere con deliberazione dell'assemblea, le cosiddette “modificazioni” delle parti comuni vengono in essere al fine di soddisfare un interesse individuale, per cui non occorre procedere ad alcuna autorizzazione collegiale, semmai è necessario rispettare dati limiti strutturali (in punto, si richiama in sentenza il seguente arresto: Cassazione Civile, Sezione II, 04/09/2017, n. 20712). Sotto quest'ultimo aspetto, occorre ossequiare sia il divieto di alterare la destinazione della cosa comune che l'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini.
La Suprema Corte di Cassazione precisa, infine, che la nozione di “uso paritetico” deve essere interpretata con elasticità ed equilibrio; per cui il più ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non è in grado di configurare ex se una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, ove, ad esempio, esso trovi giustificazione nella conformazione strutturale del fabbricato (cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/1986, n. 3822).
La conclusione, dunque, tratta dal decidente è quella per cui qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un “pari uso” della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condòmino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (al fine, sono state richiamate le seguenti pronunce: Cass. Sez. 2, 14/04/2015, n. 7466; Cass. Sez. 2, 30/05/2003, n. 8808; Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 05/12/1997, n. 12344; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3368).

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