Condominio

Come può nascere un «regolamento giudiziale» per il condominio

di Giuseppe Marando

Per opinione comune i regolamenti condominiali si collocano in tre categorie, in base alla loro natura ed al sistema di formazione. Il regolamento assembleare è quello tipico previsto dall'art. 1138 del Codice civile ed approvato di solito a maggioranza (qualificata). Il regolamento esterno proviene dal costruttore dell'edificio, è richiamato in ogni rogito di compravendita ed è conosciuto come «regolamento contrattuale», perché approvato da tutti i condòmini, originari e successivi; contiene di solito, ma non necessariamente, disposizioni che incidono sui diritti individuali (e dette appunto contrattuali). Il terzo tipo è il regolamento giudiziale, che viene formato con l'intervento del tribunale.
Ognuno di essi deve avere il contenuto minimo dettato dall'art. 1138: norme sull'uso delle cose comuni, sulla ripartizione delle spese, per la tutela del decoro dell'edificio e per l'amministrazione; divieto di deroghe ad una serie di articoli dichiarati inderogabili. Le limitazioni ai diritti dei condòmini sono consentite solo per mezzo delle accennate clausole contrattuali che, ove non contenute nel regolamento esterno di cui si parlava, devono essere approvate all'unanimità dei componenti del condominio.
La legge non menziona esplicitamente il regolamento giudiziale, ma la sua possibile esistenza si ricava dal citato art. 1138. Se nel 1° comma si pone l'obbligo del condominio (con oltre dieci partecipanti) di adottare il regolamento, nel 2° viene attribuito il potere di iniziativa a qualunque condòmino, con il riconoscimento di un vero e proprio diritto che deve poter essere fatto valere in giudizio, a meno di non voler fare della disposizione in esame una norma vuota ed inutile privando la collettività di uno strumento fondamentale considerato come lo statuto del condominio. Un'altra implicita base è nel rimedio generale dell'art. 1105 del Codice (applicabile anche alla materia condominiale) che attribuisce all'autorità giudiziaria (non in via contenziosa ma amministrativa, con la cosiddetta «volontaria giurisdizione») il potere di intervenire, su ricorso di ciascun condòmino, qualora non si prendano i provvedimenti necessari per l'amministrazione del condominio o non si forma una maggioranza (o la delibera adottata non venga eseguita).
Il tema esposto è molto dibattuto e la dottrina è divisa, ma la tesi largamente maggioritaria si esprime per l'ammissibilità del regolamento di tipo giudiziale. Rimane il dubbio, però, se la strada da seguire sia la domanda contenziosa attraverso l'impugnativa ai sensi dell'art. 1137 del Codice di una delibera negativa (cioè di mancata approvazione della bozza di un regolamento) oppure il ricorso alla volontaria giurisdizione ai sensi del 4° comma del suddetto art. 1105 del Codice.
Un lontano precedente della Suprema Corte aveva affermato che il regolamento condominiale, non approvato dall'assemblea ma adottato coattivamente in virtù di sentenza attuativa del diritto del condòmino di ottenere la sua formazione, acquista efficacia vincolante per tutti i condòmini ai sensi dell'art. 2909 del Codice (Cassazione 1218/1993). Oggetto della lite era una clausola contenuta, appunto, in un regolamento giudiziale formato in precedenza attraverso giudicato (del Tribunale di Messina nel 1960). Altra successiva pronuncia, nell'esaminare una addotta violazione del regolamento anche qui già in vigore, ha ripreso il precedente del 1993 per supportare il principio, enunciato in via incidentale, che il giudice può approvare il regolamento formato su iniziativa di un condòmino ex art. 1138/2° del Codice, senza poterlo predisporre a propria cura (Cassazione 12291/2011).
Nella giurisprudenza di merito una recente decisione si è occupata della richiesta di alcuni condòmini in sede contenziosa di avere un provvedimento giudiziale che ratificasse il testo di un regolamento redatto dall'apposita commissione in ordine al quale non si era raggiunto alcun accordo in assemblea. Il tribunale ha dichiarato inammissibile la domanda per mancanza di una delibera in tema di costituzione di un regolamento e di una lite fra i condòmini, aggiungendo altresì: che in sede di impugnazione delle delibere ex art. 1137 del Codice l'intervento del giudice deve limitarsi alla verifica della legittimità dell'espressa volontà collettiva senza poter entrare nel merito delle scelte discrezionali; che lo strumento al quale dovevano ricorrere i condòmini era quello della volontaria giurisdizione dell'art. 1105, e non della domanda in sede contenziosa che presuppone la lesione di un diritto e l'esistenza di una lite (Trib. Roma, Sez. V, 13/11/2018; si veda il Quotidiano del Sole 24 Ore – Condominio del 12 dicembre scorso).
Da quanto sopra emerge che il “regolamento giudiziale” può acquisirsi, in primo luogo, attraverso la combinazione dell'art. 1137 e dell'art. 1138 citati impugnando una delibera che rifiuta il testo presentato all'assemblea e quindi viola il diritto di ogni condòmino di ottenere il regolamento previsto come obbligatorio. Il giudice dovrebbe solo controllare la legittimità del testo e quindi la sua aderenza ai dettati dell'art. 1138 (a parte, s'intende, i possibili vizi procedimentali nella formazione di ogni delibera): a) presenza del contenuto minimo prescritto, senza alcun sindacato sul merito delle varie clausole; b) mancanza di lesione dei diritti dei condòmini e di deroghe agli articoli dichiarati inderogabili.
La decisione contenziosa di cui sopra finisce per supplire ad una conclamata inattività dell'assemblea, per la quale è previsto più specificamente il ricorso alla volontaria giurisdizione del citato art. 1105 del Codice, posto che la collettività condominiale non ha formato una maggioranza per approvare un atto dichiarato obbligatorio dalla legge. Anche in questo procedimento il giudice, prima di avallare il documento predisposto, dovrebbe verificare la rispondenza del testo ai sopra indicati criteri di legittimità espressi dall'art. 1138 citato. Ma il margine di operatività risulta più ampio della via contenziosa, dato il carattere “amministrativo” dell'intervento. Intanto il giudice potrebbe anche prescrivere preliminarmente la riconvocazione dell'assemblea a cura del condòmino più diligente (per questa facoltà in generale v. Tribunale di Modena 24 febbraio 2009) con un ordine del giorno utile a risolvere la questione concreta, cioè la discussione di un testo di regolamento che risultasse già predisposto. In mancanza, sussiste il rimedio della nomina del cosiddetto amministratore «ad acta» (un soggetto terzo investito di compiti specifici e definiti), con l'incarico di predisporre e presentare al magistrato una bozza di regolamento, giovandosi anche dei contributi di merito dell'assemblea, del consiglio di condominio e dell' amministratore in carica.
Il regolamento comunque ottenuto diverrà poi obbligatorio con il passaggio in giudicato della sentenza nel percorso contenzioso o con la definitività del decreto nella volontaria giurisdizione (mancanza di reclamo al giudice superiore o rigetto dello stesso). Non potrà ovviamente contenere disposizioni che menomano i diritti di proprietà dei singoli condòmini, perché la legittimità del sacrificio dei diritti individuali è basata sull'autonomia contrattuale e quindi soltanto su un regolamento predisposto dal venditore ed accettato dagli aventi causa oppure su clausole del regolamento stesso approvate dai condòmini interessati.
Resta inteso che in ogni caso l'assemblea potrà poi intervenire per la revisione e la modifica dell'acquisito regolamento, con la maggioranza qualificata dell'art. 1138 cit. o con l'unanimità per le «clausole contrattuali».

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