Condominio

Lastrico solare comune, così chi sta all’ultimo piano lo trasforma in terrazzo

di Paolo Accoti

Ferma restando la naturale funzione di copertura e difesa degli appartamenti posti al di sotto del terrazzo che, in ogni caso deve essere preservata, il condomino proprietario dell'ultimo piano, sottostante al terrazzo comune dell'immobile, è legittimano a trasformarlo in terrazza di uso esclusivo, anche mediante la realizzazione di parapetti e con l'allocazione di attrezzatura da esterni, quali gazebo rimovibili, sedute e fioriere.
La ragione di tale assunto risiede nel fatto che la corretta interpretazione dell'art. 1102 Cc, a mente del quale ciascun condomino può servirsi della cosa comune, come il terrazzo nel caso concreto, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, assicura al singolo condomino l'esercizio di un suo diritto, anche mediante il maggior godimento del bene comune dal quale può trarre ogni possibile utilità, anche esclusiva.
Tanto è vero che l'uso paritetico richiamato dalla norma non può intendersi quale diritto all'identico uso, per l'ovvia ragione che, diversamente opinando, il diritto ad uno speculare utilizzo si risolverebbe nell'impossibilità di utilizzo del bene da parte di ogni condomino e, quindi, in un sostanziale divieto di utilizzo.
Questi i principi richiamati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 28418, pubblicata in data 7 novembre 2018.
La decisione giunge a breve distanza da un altro provvedimento della Suprema Corte, l'ordinanza n. 28111, pubblicata il 5 novembre 2018 , resa in identica materia, nella quale la stessa ha avuto modo di precisare come, tale uso paritetico, non può prescindere da una logica prognosi in relazione al concreto uso che potrebbero farne gli altri condòmini, escludendo ogni ipotetica congettura di identico e contemporaneo utilizzo.
In altri termini, occorre considerare le effettive esigenze di utilizzo del bene da parte degli altri condòmini e, quindi, una volta accertato che essi non hanno alcuna contingente necessità di utilizzo di detto bene, l'uso del singolo condomino non può mai ritenersi illegittimo.
Tanto perché l'uso paritetico deve essere valutato realisticamente, e non in teoria, considerando le tangibili necessità dei singoli condòmini.
Ciò posto, nel tornare alla sentenza, si evidenzia come il giudizio sottoposto al vaglio del Giudice di legittimità, prende avvio dall'atto di citazione con il quale un condomino evocava in giudizio la società proprietaria dell'appartamento sottostante il lastrico solare, al fine di sentire dichiarare la proprietà comune dell'anzidetto terrazzo, nonostante lo stesso fosse accessibile solo tramite una botola posta nell'appartamento della convenuta, con la contestuale declaratoria di illegittimità delle opere realizzate sul lastrico (gazebo e attrezzatura varia), con la conseguente riduzione in pristino.
Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda, tuttavia, sul gravame interposto dalla società convenuta, la Corte d'Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava le istanze dell.
La stessa, per motivare l'anzidetta decisione, ferma restando la natura comune del terrazzo in assenza di titolo contrario, riteneva che tali opere non violassero il disposto dell'art. 1102 Cc.
Ricorre per la cassazione della sentenza il condomino soccombente, affidando il ricorso a tre motivi, tra cui, la violazione e falsa applicazione degli artt. artt. 1102, 1117 e 1120 Cc.
Il Collegio richiama il proprio precedente (Cass. 14107/2012), al quale ritiene di uniformarsi, ricordando come <<il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene (conf. Cass. n. 2500/2013).>>.
Nel caso concreto, evidenzia che la Corte di merito, con accertamento non censurabile in sede di legittimità (Ex multis: Cass. 4256/2018), ha ritenuto che le opere realizzate non fossero tali da compromettere la tipica funzione di copertura del lastrico solare, che non ledevano il decoro architettonico dello stabile e, nondimeno, consentivano l'uso anche ai restanti potenziali condòmini.
Ricorda ancora, che in termini analoghi la Suprema Corte aveva già statuito con la sentenza n. 16260/2017, <<che in relazione ad un'ipotesi di trasformazione di una finestra in porta finestra, esistente nell'appartamento di proprietà esclusiva di una condomina, in maniera da poter accedere al lastrico solare, con l'installazione su quest'ultimo di una ringhiera ed il posizionamento di attrezzatura da giardino, ha affermato che la corretta esegesi dell'art. 1102 c.c. depone nel senso che la stessa è intesa ad assicurare al singolo partecipante, quanto all'esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa, sicchè legittima quest'ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi intendere la nozione di “uso paritetico” in termini di assoluta identità di utilizzazione della “res”, poiché una lettura in tal senso della norma “de qua”, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio.>>.
In definitiva, quindi, il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio.
Tale principio trova illustri precedenti nella giurisprudenza di legittimità, tanto è vero che le decisioni più recenti della Suprema Corte, consentono tale trasformazione ad opera del proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, con la sua trasformazione in uso esclusivo, con l'adozione di tutti quegli accorgimenti tecnici al fine di garantire, in ogni caso, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture del tetto, così da conservare la destinazione principale del bene (Cass. 14107/2012; Cass. 2500/2013; Cass. 10004/2017).
Tuttavia, vi è da rilevare che non tutte le trasformazioni del terrazzo ad opera del proprietario del piano sottostante possono risultare lecite, escluse, infatti, quelle che alterano la funzione principale di copertura del tetto, la giurisprudenza ha delineato altre ipotesi di illegittimità della trasformazione.
Ed invero, risulta pacifico che, in forza dell'art. 1102 Cc, ogni condomino può servirsi del bene comune, quale appunto il tetto o il terrazzo dell'edificio condominiale, senza tuttavia alterarne la sua naturale destinazione o impedire agli altri condòmini di farne parimenti uso.
Il rispetto delle anzidette condizioni permette al singolo condomino di fare anche un uso più intenso della cosa comune, tuttavia, le spese necessarie per il miglior godimento della cosa, rimangono a suo esclusivo carico.
Come detto, una tale possibilità è concessa fino a quando ciò non impedisca il godimento del medesimo bene da parte degli altri condòmini, pertanto, qualora il proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale modifichi una porzione del tetto, trasformandola in terrazza ovvero ivi realizzandovi una <<altana>> (vale a dire un belvedere o loggetta, struttura realizzata nella parte più elevata dell'edificio), una siffatta trasformazione è da ritenersi illegittima, considerato che non è finalizzata al migliore godimento della cosa comune, ma all'appropriazione di una parte di questa, con contestuale sottrazione del bene comune alla possibilità di futuro godimento da parte degli altri condòmini, senza che a ciò possa obbiettarsi la funzione di copertura dell'immobile ovvero il disposto dell'art. 1102 Cc.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, infatti, proprio sulla scorta del fatto che l'art. 1102 Cc, consente ad ogni singolo condomino di servirsi della cosa comune, anche con modalità peculiari e differenti con riferimento alla sua normale destinazione, utilizzando il bene anche con modalità più intese, ha statuito come, nondimeno, tale utilizzo deve sempre consentire il simultaneo utilizzo, quand'anche potenziale, da parte degli altri condòmini, e senza alterarne <<il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari>>.
A tal uopo, infatti, vengono richiamati alcuni precedenti per cui <<deve qualificarsi illegittima la trasformazione — anche solo di una parte — del tetto dell'edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, risultando in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune, sottratta all'utilizzazione da parte degli altri condomini.>> (Cass. 1737/2005; Cass. 24414/2006; Cass. 5753/2007).
Nello specifico, la trasformazione del terrazzo con la realizzazione sullo stesso della cd. altana, ovvero belvedere), struttura tipica dei palazzi veneziani, è stato ritenuto che non costituisse <<nuova fabbrica>> in sopraelevazione, agli effetti dell'art. 1127 Cc, dando luogo ad un intervento che non comporta lo spostamento in alto della copertura, mediante occupazione della colonna d'aria sovrastante il medesimo fabbricato, quanto, piuttosto, la modifica della situazione preesistente, attuata attraverso una diversa ed esclusiva utilizzazione di una parte del tetto comune, con relativo potenziale impedimento all'uso degli altri condòmini.
Tuttavia tale trasformazione, comportando una modifica della situazione preesistente mediante una diversa ed esclusiva utilizzazione di una parte della porzione comune del tetto con relativo impedimento agli altri condòmini dell'inerente uso, è stata ritenuta illegittima, comportando la violazione del divieto stabilito dall'art. 1120 Cc, essendo indubbio che gli altri condòmini siano stati privati delle potenzialità di uso (come quelle, ad es., riconducibili alla possibilità di installazione di antenne e alla riparazione o manutenzione della copertura stessa) della parte di tetto occupata dalla struttura dell'altana a beneficio esclusivo del condomino che l'ha realizzata (Cass. 5039/2013; Cass. 7906/2011, non massimata).
In buona sostanza, è stata ritenuta vietata la modifica di una parte del tetto, sia essa una trasformazione in terrazza ovvero una occupazione con un struttura alla stessa equiparabile, atteso che l'anzidetto intervento appare teso non tanto al miglior utilizzo del bene comune, quanto alla definitiva sottrazione dello stesso al godimento altrui (Cass. 23243/2016).
Orientamento, quest'ultimo seguito di recente anche da parte della giurisprudenza di merito e, in particolare, dal Tribunale di Milano che, nel caso di una realizzazione di una terrazza cd. a tasca (terrazza incassata nel tetto o copertura del terrazzo), con la rimozione di una parte della falda del tetto e lo sconfinamento in un'altra porzione di sottotetto, ha ritenuto siffatta opera una innovazione vietata ma, tuttavia, realizzabile con il consenso della assemblea (maggioranza degli intervenuti e due terzi del valore dell'edificio).
Dal tenore dei menzionati precedenti, si arguisce come il discrimine tra la liceità della trasformazione della terrazza comune in una ad uso esclusivo, risiederebbe nell'accertamento della definitiva sottrazione del bene al godimento altrui, prescindendo qui, dalla valutazione in merito al concreto e effettivo utilizzo del bene che potrebbero farne gli altri condòmini e valorizzando, quindi, la mera possibilità di utilizzo potenziale.
Orbene il renvirement della Corte di Cassazione, esplicatosi da ultimo con le sopra citate sentenze (n. 28111 e 28418 del 2018 e 10004 del 2017), pur nella persistenza di qualche “sacca di resistenza”, ribadita anche in qualche recente sentenza (n. 23243 del 2016), trae origine dalla sentenza della Suprema Corte n. 14107, pubblicata in data 3 agosto 2012.
Il Supremo collegio, composto da Magistrati di grande spessore ed indiscussa esperienza in materia condominiale (Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente - Dott. BURSESE Gaetano Antonio - Consigliere - Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere - Dott. MATERA Lina - Consigliere - Dott. D'ASCOLA Pasquale - rel. Consigliere), in quell'occasione, e con riferimento ad una ipotesi di trasformazione del terrazzo da uso comune a uso esclusivo, ebbe a statuire che <<la nozione di pari uso della cosa comune ex art. 1102 c.c. - applicabile al condominio degli edifici in virtù del richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c. - non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Da ciò consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, atteso che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto.>>
In questa sede vale la pena riportare quasi per intero le motivazione dell'anzidetto provvedimento, al fine di comprendere appieno l'articolata e complessa motivazione dello stesso, che ha segnato un deciso cambio di rotta rispetto al previgente maggioritario orientamento.
Il Giudice di legittimità, infatti, in quella sede ebbe a ricordare come il <<ripetuto orientamento della Corte (Cass. 3199/83; 4466/97; 1737/05) tramanda che la trasformazione in terrazzo del tetto di copertura di un edificio condominiale ad opera del condomino proprietario del piano adiacente e non sottostante e l'annessione del terrazzo alla sua proprietà esclusiva, mediante creazione di un accesso diretto per uso a lui solo riservato, è illegittima, in quanto tale attività, oltre a non essere riconducibile all'esercizio del diritto di sopraelevazione attribuito al proprietario dell'ultimo piano dello edificio condominiale, realizza, per un verso, alterazione unilaterale della funzione e destinazione, di mera copertura e protezione delle sottostanti strutture, propria del tetto preesistente, e, per altro verso, comporta appropriazione di cosa comune, che integra violazione dei diritti di comproprietà e delle inerenti facoltà di uso e godimento (secondo la sua natura) spettanti agli altri condomini in ordine a parte comune dello edificio (v. anche 4579/81; 3369/91 e 8777/94). Si è detto pertanto che la eliminazione del tetto dell'edificio trasformato dal proprietario dell'ultimo piano in terrazza ad uso esclusivo è illegittima perchè impedisce agli altri condomini di poterlo utilizzare per quella finalità (Cass. 24414/06). Si è aggiunto (Cass. 972/06) che è illegittima la trasformazione, perchè la cosa comune viene sottratta all'utilizzazione da parte degli altri condomini, ed è mutato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, avuto riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. In tal senso conclude anche Cass. 5753/07, in un caso nel quale i proprietari esclusivi di tutto il sottotetto avevano asportato una “minima” porzione, pari a 9 mq su 150 mq di estensione.>>.
Fatta questa opportuna premessa, il Collegio, tuttavia, ritenne che siffatto orientamento dovesse essere <<ripensato sotto più profili>>.
A tal proposito, infatti, riferisce della discrepanza di tali assunti, rispetto a quelli formatisi in relazione all'utilizzo di altri beni comuni, dando atto come, <<occorre rilevare una linea di incoerenza di esso con quella giurisprudenza, rafforzatasi nel corso di questi anni, che da facoltà ai condomini di aprire porte e finestre nei muri perimetrali. E' da tempo ricorrente l'affermazione che l'ampliamento o l'apertura di una porta o finestra, da parte di un condomino, o la trasformazione di una finestra, che prospetta il cortile comune, in porta di accesso al medesimo, mediante lo abbattimento del corrispondente tratto del muro perimetrale che delimita la proprietà del singolo appartamento, non costituisce, di per sè, abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune (Cass. 703/87; 1112/88). Si è giustificata questa valutazione, osservando che tale opera non comporta per i condomini una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell'art. 1102 c.c., comma 1, rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro non sia volta ad ovviare a una interclusione, ma si correli soltanto all'intento di conseguire una più comoda fruizione dell'unità immobiliare da parte del suo proprietario (Cass. 4155/94). Fermo l'obbligo di non pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio, è stato sancito pertanto più volte che il condomino può aprire nel muro comune dell'edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti, trattandosi di opere di per sè non incidenti sulla destinazione della cosa (Cass. 4996/94; 20200/05; 13874/10). Si è ritenuta anche legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla proprietà esclusiva (Cass. 1554/97). Proprio nella sentenza da ultimo citata si è precisato che funzione dei muri perimetrali di un fabbricato condominiale è non solo di recingere l'edificio e sorreggere le strutture, ma anche di contenere le porte, le finestre, i balconi etc. L'utilizzazione del muro può consistere nella creazione o ampliamento di aperture.>>.
Nondimeno, ricorda come <<tale facoltà è stata ammessa tuttavia anche con riguardo al tetto degli edifici, affermando che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può aprire su esso abbaini e finestre - non incompatibili con la sua destinazione naturale - per dare aria e luce alla sua proprietà, purchè le opere siano a regola d'arte e non pregiudichino la funzione di copertura propria del tetto, nè ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo (Cass. 17099/06; 1498/98).>>.
Alla luce di ciò, quindi, esprime dubbi in merito al paventato divieto assoluto di apportare ridotte modifiche al terrazzo, rammentando che l'ormai <<pacifica facoltà di frantumare l'unitarietà strutturale del bene perimetrale (muro o tetto che sia) fa dubitare circa la fondatezza della perentoria affermazione di divieto di modesti tagli del tetto.>>.
Sostiene allora che, <<qualora detti tagli diano luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione e alla destinazione della modifica stessa, può dirsi che rientrino nell'ambito delle opere consentite al singolo condomino. Dal punto di vista strutturale si può dar luogo a interventi meno vistosi della realizzazione di un abbaino (ndr.: costruzione sporgente dalla copertura del tetto tale da permettere l'apertura di una finestra verticale), che, se attuati con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali, sono compatibili con il mantenimento della destinazione della cosa locata.>>
Il Supremo collegio, quindi, fornisce la ratio di tale riferita compatibilità per siffatto tipo di modifiche, affermando come <<questa considerazione, formulata per assimilazione tra diverse opere che incidono su una parte perimetrale dell'edificio (muro o tetto), deve essere verificata alla luce dei due concetti fondamentali di destinazione della cosa comune e di pari uso della cosa comune. Conviene muovere da quest'ultimo. La giurisprudenza di legittimità, in uno degli svolgimenti più acuti in materia, ha stabilito che “la nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l'art. 1102 c.c. - che in virtù del richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c. è applicabile anche in materia di condominio negli edifici - non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri. Essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (così Cass., sez. 2^, 30-05-2003, n. 8808).>>.
Ecco che allora, proprio in virtù dei richiamati principi solidaristici, appare necessario, a dire della Corte, un diverso approccio all'istituto dell'uso della cosa comune dettato dall'art. 1102 c.c., favorendone, per quanto possibile, una rivisitazione quanto più compatibile con le esigenze di sviluppo abitative, evitando di intendere ed utilizzare la clausola del <<pari uso della cosa comune>> quale mezzo per giustificare impedimenti alla potenzialità di godimento del singolo condomino.
Ecco che allora, <<qualora non siano specificamente individuabili i sacrifici in concreto imposti al condomino che si oppone, non si può proibire la modifica che costituisca uso più intenso della cosa comune da parte del singolo, anche in assenza di un beneficio collettivo derivante dalla modificazione. Non lo si può chiedere in funzione di un'astratta o velleitaria possibilità di alternativo uso della cosa comune o di un suo ipotetico depotenziamento (cfr Cass. 4617/07), ma solo ove sia in concreto ravvisabile che l'uso privato toglierebbe reali possibilità di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini-utenti (cfr Cass. 17208/08 che ha escluso la legittimità dell'installazione e utilizzazione esclusiva, da parte di un condomino titolare di un esercizio commerciale, di fioriere, tavolini, sedie e di una struttura tubolare con annesso tendone). Se è intuitivo, alla stregua della definizione data da 8808/03, che non è conforme a diritto impedire al proprietario del sottotetto di installare una finestra da tetto perchè il proprietario di un piano intermedio non potrebbe fare altrettanto, è inevitabile interrogarsi sulla nuova frontiera tra uso consentito della cosa comune e alterazione di essa, alla luce da un lato del principio solidaristico e dall'altro delle moderne possibilità edificatorie.>>.
Pertanto, se risulta plausibile e compatibile l'applicazione di finestre da tetto con funzioni di coibentazione, con il rispetto della destinazione del bene, <<altrettanto può valere per la realizzazione di piccole terrazze che sostituiscano efficacemente il tetto spiovente nella funzione di copertura dell'edificio. Non è funzionalmente alterata la destinazione del tetto, se alla falda si sostituisce un'opera di isolamento e coibentazione inserita nel piano di calpestio.>>.
Il medesimo Collegio, infine, si interroga sulla possibilità della materiale eliminazione di una porzione limitata della falda, e se questa comporta una alterazione della destinazione della cosa comune.
A tal proposito afferma che <<la risposta deve essere negativa, perchè per destinazione della cosa si intende la complessiva destinazione di essa, che deve essere salva in relazione alla funzione del bene e non alla sua immodificabile consistenza materiale. Pertanto la soppressione di una piccola parte del tetto, se viene salvaguardata diversamente la funzione di copertura e si realizza nel contempo un uso più intenso da parte del condomino, non può esser intesa come alterazione della destinazione, comunque assolta dal bene nel suo complesso. Ovviamente il giudizio sul punto andrà formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari e si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimità solo avendo riguardo alla motivazione.>>.
In buona sostanza con tale sentenza, la giurisprudenza sposta il discrimine tra uso legittimo ed utilizzo vietato della cosa comune, tralasciando il principio relativo all'accertamento della definitiva sottrazione del bene al godimento altrui, pure perorato da parte della giurisprudenza, ponendo invece l'attenzione sulla reale possibilità di uso della cosa comune da pare degli altri potenziali condòmini.
In altri termini, l'uso particolare della cosa comune e, nella fattispecie concreta, la trasformazione della terrazza comune ad uso esclusivo, appare consentita, fermo restando il mantenimento della destinazione d'uso (nel caso del terrazzo, la funzione di copertura degli appartamenti sottostanti), qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano e non faranno un pari uso della cosa comune.
Ecco che allora, in conformità a quanto è stato di recente stabilito (Cass. 28111/2018), la valutazione in merito alla legittimità dell'uso più inteso della cosa da parte del singolo condomino e, quindi, la nozione di uso paritetico, non può prescindere da una logica prognosi in relazione al concreto uso che potrebbero farne gli altri condòmini, escludendo ogni ipotetica congettura di identico e contemporaneo utilizzo.
Il che sta a significare che tale uso risulterà legittimo quando, tenuto conto delle effettive esigenze di utilizzo del bene da parte degli altri condòmini, verrà accertato, caso per caso, che essi non hanno alcuna contingente necessità di utilizzo di detto bene, tanto perché l'uso paritetico deve essere valutato realisticamente, e non in teoria, considerando le tangibili necessità dei singoli condòmini.
Ecco che allora, riassumendo, in tale ipotesi di particolare e più intenso utilizzo della cosa comune da parte del singolo condomino, occorrerà applicare i seguenti tre principi: a) l'uso paritetico della cosa comune, da tutelare, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell'utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare; b) l'uso comune del bene, sulla base di idonei accertamenti, non deve, in generale, essere limitato dall'utilizzo particolare del singolo condomino ma, a tal fine, occorre verificare l'effettiva necessità e la concreta possibilità di un analogo uso da parte degli altri utenti; c) l'uso paritetico deve essere valutato in concreto e non in astratto, con appropriata indagine da parte del Giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, se non nei casi di violazione di legge ovvero di motivazione palesemente carente o totalmente omessa (Cfr.: Cass. 28111/2018).

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