Condominio

Sì ai lucernari se il divieto di modifiche non è richiamato negli atti d’acquisto

di Valeria Sibilio

L'alterazione del decoro architettonico di un edificio è una di quelle questioni che, a livello giudiziario, può generare incertezze e contrasti in materia condominiale. Una problematica affrontata dall’ordinanza della Cassazione n° 974 del 2019, nella quale l'alterazione era stata causata dall'apertura di lucernai che avevano modificato l'aspetto esterno di un immobile. All’origine della causa il ricorso in Tribunale di Primo Grado di una società che, insieme ad altri, aveva convenuto in giudizio, due attori rei, a suo dire, di aver aperto illegittimamente tre lucernai verso il lato golfo dell'appartamento di proprietà di questi ultimi, compreso in un supercondominio, in contrasto con il divieto di modifica ed innovazione delle singole unità immobiliari imposto dalla clausola IV dell'atto di provenienza, dall'art. 4 del Regolamento di condominio periferico e dall'art. 25 del Regolamento di supercondominio. La società chiedeva la condanna dei convenuti al ripristino della situazione precedente, mentre questi ultimi, costituendosi in giudizio e chiamando in causa la Fondazione dalla quale avevano acquistato l'immobile già dotato dei tre lucernai, chiedevano il rigetto della domanda, negando di aver apportato modifiche all'immobile compravenduto. La Fondazione, a sua volta, si costituiva in giudizio, eccependo la prescrizione del diritto azionato nei suoi confronti e chiedendo il rigetto della domanda, in quanto infondata.
Dopo il rigetto della domanda, la società proponeva appello, chiedendo la rimozione delle opere e denunciando che il tribunale aveva erroneamente escluso la contrarietà delle modifiche riguardanti l'immobile nonostante le clausole giuridiche ed il regolamento condominiale imponessero il divieto di interventi idonei ad incidere sull'estetica e l'uniformità stilistica del complesso residenziale. Una domanda che la Corte di Secondo Grado rigettava, escludendo che le modifiche fossero contrarie al contenuto dell'atto di compravendita e ritenendo che l'apertura dei tre lucernai, nel 1987, non aveva dato luogo ad alcuna violazione del vincolo di immodificabilità contemplato al punto 7 dell'atto con il quale i due attori avevano acquistato l'immobile in questione. Un vincolo operante per le modifiche successive alla stipulazione ma non applicabile alle opere pregresse. Non solo, ma la realizzazione dei lucernai non era avvenuta in violazione di un Regolamento di condominio che non contemplava lo specifico divieto di apportare modifiche alle parti esterne dell'edificio.
A fronte di questa sentenza, la società ricorreva, per sette motivi, in cassazione, mentre i due attori e la Fondazione resistevano con controricorso.
Con il primo motivo, la società ricorrente censurava la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello aveva ritenuto che l'apertura dei tre lucernai, avvenuta nel 1987, non aveva dato luogo ad alcuna violazione di tale vincolo di immodificabilità sul rilievo che lo stesso operi solo per le modifiche successive alla stipulazione del contratto e non sia, quindi, applicabile rispetto alle opere pregresse. In questo modo, la corte d'appello avrebbe omesso di considerare che la servitus immutandi deriva, in realtà, dal primo contratto di compravendita, stipulato in data 27/12/1977 con atto trascritto il 26/1/1978, tra la proprietaria e costruttrice di tutto il complesso, e la Fondazione che ha poi venduto ai coniugi. In tale atto, le parti avevano espressamente convenuto la clausola di immodificabilità del complesso, stabilendo, in particolare, che gli edifici già edificati non avrebbero potranno subire modifiche di alcun genere, con il conseguente divieto di apportare mutazioni, innovazioni e sopraelevazioni agli immobili già edificati. La Corte d'appello, invece, focalizzando la propria attenzione solo sul contratto con il quale, in data 8/4/1997, non si sarebbe avveduta del fatto che, in realtà, la servitù di immodificabilità era stata costituita e sorta con il primo contratto di compravendita ed, essendo un diritto reale, avrebbe seguito l'immobile, indipendentemente dalle pattuizioni in seguito intercorse tra altre e successive parti contraenti. Un motivo giudicato inammissibile, in quanto l'appello che la ricorrente aveva proposto, non investiva né la questione della costituzione della servitus immutandi già con il primo contratto di compravendita, né quella del richiamo a tale clausola contenuto nel contratto. I motivi del ricorso per cassazione non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità. Qualora una determinata questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto.
Con il secondo motivo la società ricorrente censurava la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d'appello aveva escluso che gli appellati avessero violato il regolamento di condominio centrale sul rilievo che lo stesso, sebbene approvato in data 22/2/1980, non solo non era risultato trascritto ma neppure richiamato nel rogito prodotto dai coniugi, né in quello della Fondazione, sottoscritto il 27/12/1977, aggiungendo che il “regolamento della comunione”, al quale quest'ultimo atto fa riferimento, non poteva identificarsi con il Regolamento di condominio centrale, o di supercondominio, introdotto solo a distanza di tre anni.
Nel terzo motivo, invece, la società ricorrente, censurava la sentenza nella parte in cui la Corte d'appello non avrebbe tenuto conto il regolamento di supercondomino, facendo propri i divieti contenuti nei regolamenti dei singoli condomini e nei contratti di acquisto, detta una disciplina unitaria nella quale il divieto di modificazione rappresenta il tratto comune e caratterizzante.
Due motivi esaminati congiuntamente e giudicati dalla Suprema Corte infondati. La società ricorrente non aveva, in sostanza, sollevato alcuna censura, confermandone anzi la correttezza, nei confronti della sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che il regolamento. Escluso, alla luce dell'accertamento operato dalla Corte d'appello, che il regolamento di condominio (centrale), invocato dalla ricorrente a sostegno della domanda proposta, sia stato richiamato negli atti di acquisto del Fondo Nazionale di Previdenza, prima, e dei coniugi, poi, risultava giuridicamente corretta la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che le relative clausole, a partire dalla n. 25, quale che ne fosse l'interpretazione più corretta, siano inopponibili a questi ultimi.
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio, infatti, vincola, in virtù del suo carattere convenzionale, tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l'uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca, solo se accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto e trascritto nei registri immobiliari.
Con il quarto motivo, per la società ricorrente, la corte d'appello avrebbe ritenuto che il richiamo al regolamento di condominio, contenuto nel contratto di compravendita dei coniugi, non poteva che identificarsi con il Regolamento del Condominio, escludendo che esso sia stato violato. Un motivo infondato, in quanto il ricorso per cassazione,non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere l'ingiustizia della sentenza impugnata, ma si caratterizza come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze.
Nel quinto motivo, per la società ricorrente la Corte d'appello aveva ritenuto condivisibile la decisione del Tribunale che aveva escluso l'illiceità della modifica al sottotetto dell'immobile, trattandosi di trasformazione non assoggettata al vincolo di immodificabilità dell'aspetto esterno dell'edificio. La ricorrente evidenziava che, avendo la società costruttrice consegnato l'immobile al Fondo di previdenza privo dei lucernai ed avendo l'ente acquirente assunto al momento dell'acquisto l'impegno di non apportare modifiche al detto immobile, la realizzazione dei lucernai, successivamente a tale acquisto, violava la servitù di immodificabilità. Nel sesto motivo, inoltre, si censurava sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello, rigettando l'appello proposta dalla società, non aveva esaminato il contenuto e la portata della servitù di non modificare, laddove, una volta accertato che sono state apportate modifiche agli immobili come edificati dalla società costruttrice del complesso, il giudice deve limitarsi a prenderne atto, ordinandone la rimozione. Nel settimo motivo, il ricorrente lamentava il non aver tenuto conto dell'aumento di volumetria e modifica della destinazione d'uso dei locali sottotetto in abitazione. Tre motivi, per la Cassazione, assorbiti dal rigetto degli altri.
Gli ermellini hanno, perciò, rigettato il ricorso, condannando la società ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, liquidate, per ciascuno di essi, in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali per il 15% ed accessori di legge.

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