Condominio

Come gestire il conflitto d’interesse tra condòmini e condominio

di Davide Longhi

Il presente contributo prende spunto dalla decisione della Corte di Cassazione sentenza del 25 gennaio 2018 n. 1853 (relatore Antonio Scarpa) ed esamina una questione non molto ricorrente nelle controversie condominiali ovvero quella del conflitto di interesse nelle deliberazioni assembleari che vede “contrapposti” l'interesse personale del condòmino e le ragioni di tutela della collettività condominiale.
Storia della vicenda processuale: la decisione in commento, che conferma il proprio orientamento più recente (Cass. n. 19131/2015 – Cass. n. 10754/2011), ha visto l'impugnativa di un condòmino avanti al Tribunale di 1° grado di una delibera condominiale viziata dal conflitto di interessi in capo ad un condòmino titolare di un'impresa appaltatrice dei lavori di manutenzione del condominio la cui aggiudicazione e spesa era stata approvata dell'assemblea; il processo si concludeva con il rigetto integrale dell'impugnativa. È stato proposto appello che si è concluso con un parziale accoglimento del ricorso e che, in ogni caso, ha portato alla conferma del rigetto dell'impugnazione. La Corte di Appello ha escluso che fosse ravvisabile un conflitto di interessi in capo al condòmino (titolare dell'impresa) perché non è stata dimostrata la circostanza che i lavori condominiali (se affidati in appalto ad altra impresa) avrebbero comportato un risparmio di spesa rispetto al prezzo deliberato e riconosciuto all'impresa aggiudicataria, quindi non è stata data prova dello specifico conflitto di interessi denunciato. Viene proposto ricorso al Supremo Collegio che conferma la conclusione sopra esposta (rigetto dell'impugnativa) ed osserva che non trova applicazione l'art. 1394 c.c. per le ragioni infra indicate, mentre trova applicazione in via analogica l'art. 2373 c.c. previsto in tema di società commerciali in forza del quale la deliberazione approvata con il voto determinante dei soci, che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è annullabile ex art. 2377 c.c. “qualora possa arrecare danno”.
Quando si riscontra un conflitto di interessi. Tale situazione è configurabile qualora sia possibile identificare, in concreto, una divergenza tra le ragioni personali del condòmino e l'interesse “istituzionale” del condomìnio, quindi in caso di soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell'interesse condominiale all'utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell'edificio (Cass. n. 10754/2011 - Cass. n. 13004/2013). Semplificando: affinché sorga un conflitto tra il condominio e il singolo condòmino, è necessario che quest'ultimo sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: a) uno come condòmino e uno come soggetto “estraneo” al condominio e che l'interesse sia estraneo al godimento delle parti comuni e a quello delle unità abitative dell'edificio) e, b) che i due interessi siano in contrasto.
Il conflitto di interesse nella società si verifica qualora partecipi all'assunzione di una delibera assembleare un socio che sia portatore di un interesse personale rispetto alla decisione stessa. La fattispecie è disciplinata dagli artt. 2373 c.c. “…la deliberazione approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile a norma dell'articolo 2377 qualora possa recarle danno…” 2391 c.c. “…l'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale; se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile…” diversamente l'amministratore risponde delle perdite che siano derivate alla società dal compimento dell'operazione.
Il conflitto di interesse nel condominio non riscontra una specifica disciplina e quindi
è sempre intervenuta la giurisprudenza a risolvere le situazioni di conflitto applicando per analogia la disciplina sopra citata prevista per le società. Il nostro ordinamento giuridico riconosce (Cass. Sezioni Unite n. 19663/2014) una “…soggettività giuridica autonoma del condominio, che è soggetto di diritto, anche senza personalità giuridica, distinto dai suoi partecipanti…”, condominio che di fatto è molto simile ad un'associazione, e quindi attribuisce al medesimo potestà e poteri di carattere sostanziale e processuale, desumibili dalla disciplina della sua struttura e dai suoi organi, così che debba ritenersi applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la norma dettata, in materia di società, per il conflitto di interessi. Come ha precisato la sentenza Cass. n. 1853/2018, l'art. 1394 c.c. non trova applicazione per le ipotesi di conflitto di interesse in ambito condominiale perché “…nella fattispecie astratta prevista da questa norma il conflitto di interessi si manifesta al momento dell'esercizio del potere rappresentativo, e verte sul contrasto tra l'interesse personale del rappresentato e quello, pure personale, del rappresentante, laddove, nel caso previsto dall'art. 2373 c.c., sul quale si è incentrata, piuttosto, la presente controversia, il conflitto di interessi si manifesta in sede di assemblea al momento dell'esercizio del potere deliberativo, e verte sul contrasto tra l'interesse proprio del partecipante al voto collegiale e quello comune della collettività…” (Cass. Sez. 1, 10/10/2013, n. 23089).
Il calcolo della maggioranze - partecipazione assembleare e voto. Una volta accertato il conflitto di interessi di un condòmino, bisogna stabilire se la sua presenza contribuisca alla formazione dei quorum. Infatti, l'art. 2373 c.c. sopra citato (dopo la riforma delle società con D.Lvo n. 6/2003 in vigore del 01/01/2004) non pone più alcuna distinzione tra quorum costitutivo e quorum deliberativo, quindi ai fini del calcolo delle maggioranze in ambito condominiale si deve far riferimento a tutti i condòmini sia per il quorum costitutivo che per quello deliberativo. Nella giurisprudenza (merito e legittimità) nel tempo si sono manifestate due tesi giurisprudenziali:
Tesi 1: ritiene che ai fini del calcolo delle maggioranze assembleari non vadano computate le quote di partecipazione condominiale e i voti dei condòmini che siano in conflitto di interessi con il condominio (Cass. 618/1997 - Cass n. 44080/2002 - Cass. 100683/2002 – Cass. 6853/2001 - Cass. n. 17140/2011) “…ai fini del calcolo delle maggioranze assembleari condominiali non vanno computate le quote di partecipazione condominiale e i voti dei condomini che siano in conflitto di interessi con il condominio in relazione all'oggetto della delibera…”. Ancora “…il voto del condomino in conflitto di interessi con il condominio non vale a formare la maggioranza …” (Cass. n. 331/1976). Questa tesi ha trovato il suo fondamento nella formulazione del testo dell'art. 2373 c.c. ante riforma del diritto societario che espressamente, al comma 4, così enunciava “…le azioni per le quali, a norma di questo articolo, non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea…”. Tale comma prevedeva la distinzione tra il quorum costitutivo e quello deliberativo prescrivendo che le azioni/quote/partecipazioni per le quali non poteva essere esercitato il diritto di voto erano comunque calcolate ai fini del quorum costitutivo. Mentre, sempre in tema di società, la giurisprudenza prevalente di allora affermava che il quorum deliberativo doveva essere computato/determinato non in rapporto all'intero capitale sociale, ma in relazione alla sola parte di capitale che fa capo ai soci che hanno interessi.
Tesi 2: (preferibile) sostiene, al contrario, la tesi della necessaria computabilità. Correva l'anno 2002 quando la Corte di Cassazione (sentenza n. 1201 del 30/1/2002 sez. 2' Presidente Corona) ha modificato il proprio precedente orientamento (tesi 1) andando a precisare che nel condominio le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono espresse da norme inderogabili in rapporto a tutti i partecipanti e al valore dell'intero edificio. Dunque anche in caso di conflitto di interessi tra un condomino e il condominio, le maggioranze richieste per le delibere si calcolano in relazione alla totalità dei partecipanti al condominio e al valore complessivo dell'intero edificio e non ai soli condomini che non si trovino in situazione di conflitto di interessi rispetto alla delibera. Questa sentenza ha avuto il pregio di evidenziare che in ambito condominiale non era possibile applicare il principio giuridico di cui alla tesi 1 sopra citata (esclusione del voto in conflitto nella votazione) stante la fondamentale differenza tra società, dotate di personalità giuridica, e condominio che come sopra indicato, ad oggi, ne è privo. Infatti, nel condominio la gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni non è diretta a conseguire uno scopo proprio del gruppo e diverso da quello dei singoli partecipanti, essendo la gestione stessa strumentale alla utilizzazione e godimento individuale delle proprietà esclusive. Risulta che nessuna norma del codice civile preveda che, ai fini della costituzione dell'assemblea o delle deliberazioni, non si debba tenere conto di alcuni dei partecipanti al condominio e dei relativi millesimi. L'inderogabilità delle norme che disciplinano le maggioranze è principio fondamentale dell'istituto del condominio, necessario per impedire che attraverso il principio maggioritario, in qualche misura, vengano menomati i diritti dei singoli partecipanti sulle parti comuni e il godimento delle unità immobiliari in proprietà esclusiva.
Il ruolo del giudice nell'impugnativa motivata dal conflitto di interesse. Secondo il principio ormai consolidato nella giurisprudenza, di merito e di legittimità, il sindacato del giudice sulle delibere condominiali deve limitarsi al riscontro della sola legittimità di esse e non può e non deve estendersi ad una valutazione di merito, cioè dell'opportunità/convenienza di una data decisione (Cass. n. 10199/2012). L'impugnazione di una delibera assembleare può, invece, riguardare l'ipotesi in cui la delibera stessa ecceda dai poteri dell'organo assembleare e quindi vada a ledere l'interesse collettivo. Pertanto quando la decisione assembleare non persegue l'interesse condominiale perché è stata formata con il voto determinante di partecipanti portatori di un conflitto di interessi (finalità extracondominiali), al giudice può essere chiesto comunque di controllare e stabilire che essa non costituisca il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo deliberante (Cass.n. 4216/2014 - Cass. n. 25128/2008). La delibera votata dal condòmino in conflitto d'interessi è annullabile (Cass. n. 18192/2009) in relazione ai quorum deliberativi e va impugnata nei modi e termini di cui all'articolo 1137 c.c.
In conclusione: non esiste alcun divieto per i condomini in potenziale conflitto di interessi di partecipare alle assemblee condominiali e neppure di partecipare alla formazione della volontà assembleare esprimendo il loro voto. La delibera condominiale assunta anche con il voto del condòmino portatore del potenziale conflitto di interesse risulta viziata e deve considerarsi illegittima solo quando: a) il voto sia stato determinate per la realizzazione di diversi interessi (abusato del diritto di voto in assemblea) rispetto a quelli condominiali, b) possa derivare un danno anche solo potenziale per il Condominio.
Ausilio per l'amministratore di condominio: l'ipotesi più comune di conflitto di interesse in cui un amministratore di condomino si può imbattere è quella in cui un condòmino sia anche titolare di un'impresa appaltatrice di lavori di manutenzione nel fabbricato condominiale la cui spesa ed aggiudicazione sia stata deliberata dall'assemblea di condominio anche con il voto del condomino imprenditore. In una tale ipotesi il condomino imprenditore avrà sia diritto di partecipare all'assemblea, e quindi i suoi millesimi saranno considerati nel quorum costitutivo, sia di esprime il voto che non potrà essere sospeso/escluso. Infatti, il condomino in conflitto di interessi potenziale non è obbligato ad astenersi ma potrà farlo cosi come qualsiasi altro condominio nell'esercizio di una facoltà a lui spettante. Sarà il condòmino che impugna la delibera che dovrà provare gli elementi sopra indicati al fine di ottenere l'invalidità della delibera per conflitto di interesse e precisamente: a) l'esistenza del conflitto d'interesse; b) che il voto del condòmino in conflitto sia stato determinante per l'approvazione della delibera impugnata (c.d. prova di resistenza); c) che la delibera impugnata gli abbia arrecato un danno. È evidente che qualora il condòmino in conflitto di interesse si astenga volontariamente dall'espressione del voto, fa venir a meno la situazione stessa di conflitto di interesse e di potenziale danno perché la decisione assembleare assunta, ed a lui favorevole (aggiudicazione dell'appalto), non ha visto computarsi nel quorum deliberativo il suo voto eventualmente determinante. L'amministratore dovrà anche considerare le ipotesi in cui vengano rilasciate deleghe per la partecipazione in assemblea e dove il conflitto di interesse possa riguardare il delegato ed il delegante, e precisamente:
a) il conflitto di interessi del delegante non si estende al condòmino delegato. Se, Pippo in conflitto di interessi, delega l'amico condòmino Pluto, in caso di criticità sarà il voto dato da Pluto quale delegato di Pippo ad essere oggetto di valutazione circa l'invalidità, mentre sarà validamente espresso il voto dato da Pluto in proprio;
b) il conflitto di interesse del delegato “...Qualora il condomino in conflitto di interessi sia stato delegato da altro condomino ad esprimere il voto in assemblea, la situazione di conflitto che lo riguarda non è estensibile aprioristicamente al rappresentato, ma soltanto allorché si accerti, in concreto, che il delegante non era a conoscenza di tale situazione, dovendosi, in caso contrario, presumere che il delegante, nel conferire il mandato, abbia valutato anche il proprio interesse - non personale ma quale componente della collettività - e lo abbia ritenuto conforme a quello portato dal delegato…” (Cass. 18192/09).

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