Condominio

Rumori dagli inquilini, non si possono imporre divieti ai proprietari

di Valeria Sibilio

All'interno dell'universo condominiale i rumori molesti mettono a dura prova il sottile gioco di equilibrio tra tolleranza e difesa della propria libertà. La disciplina legale nulla può quando, in una causa giudiziaria tra condominio, conduttori ed affittuari, a questi ultimi subentrano nuovi attori che svolgono attività diversa dai precedenti e sono estranei alla lite. Come ha chiarito la Cassazione nella sentenza 32345 del 2018 , originata dal ricorso, davanti al Tribunale di Milano, di un condominio nei confronti dei proprietari di locali ubicati al piano terreno dell'edificio ed alla conduttrice dei medesimi che li utilizzava per esercitarvi l'attività di pub. L'attore, denunciando che tale attività si poneva in contrasto con una pluralità di norme del regolamento di condominio, chiedeva la condanna dei convenuti al pagamento di una penale di euro 1.000,00 per ogni giorno di inadempimento al provvedimento del giudice.
La proprietaria dei locali, costituendosi, chiedeva di essere autorizzata a chiamare nel giudizio la conduttrice che, in qualità di affittuaria d'azienda, esercitava l'attività che si assumeva vietata dal regolamento. Il tribunale condannava i convenuti al pagamento delle spese di lite sulla base del principio della soccombenza virtuale, riconoscendo che l'attività esercitata nei locali era in contrasto con il regolamento condominiale, mentre la Corte di Secondo Grado, rigettando il ricorso presentato dai proprietari, accoglieva in parte l'appello incidentale del Condominio, ordinando ai proprietari dell'immobile il rispetto della norma regolamentare che vieta la produzione di rumori molesti dopo le ore 22, ritenendo di non poter dar seguito alle ulteriori richieste del Condominio, volte ad ottenere una inibitoria nei confronti dei proprietari dei locali e loro conduttori con riguardo a utilizzazioni future in contrasto con il regolamento di Condominio, perché i proprietari non svolgevano nei locali alcuna attività e la precedente attività non era più svolta a seguito della risoluzione dei contratti.
Ma non finisce qui. Due condòmini dello stabile ricorrevano in Cassazione affidandosi a cinque motivi, ai quali resistevano i proprietari con controricorso. Nel primo e nel terzo motivo, esaminati congiuntamente dagli ermellini, i ricorrenti ritenevano che le norme del regolamento condominiale, che indicano una serie di attività vietate, hanno carattere esemplificativo, dovendosi estendere anche a tutte le destinazioni non menzionate, ma idonee a provocare i pregiudizi che si intendono evitare, per cui la corte avrebbe dovuto comprendere, in queste attività anche quella di pub. Inoltre, il Condominio intendeva ottenere una inibitoria che vietasse ai proprietari di svolgere anche in futuro le attività che violassero il regolamento condominiale, oltre al divieto di destinare tramite terzi i locali alle suddette attività.
Motivi giudicati infondati dalla Cassazione la quale, in sintonia con la Corte d'Appello, pur riconoscendo proprietari, conduttore e gestore dell'azienda responsabili della loro violazione, non poteva accogliere la richiesta dei ricorrenti in quanto i proprietari non svolgevano attività che comportino produzione di rumori e odori molesti e con la cessazione dei contratti di locazione con le società citate nel giudizio, non poteva essere impartito nessun ordine ai nuovi conduttori, estranei alla lite. Non solo, ma non sussisteva neanche la presunta contraddizione fra l'inibizione che la corte ha ritenuto di non potere impartire e il capo di sentenza con il quale essa ha ordinato ai proprietari di rispettare il regolamento di condominio, nella parte in cui vieta di produrre rumori dopo le ore 22. La corte ha accolto la domanda riferita alla produzione di rumori fuori dagli orari consentiti perché ha riconosciuto che quella inerente a tutte le attività contrarie alla tranquillità degli abitanti del Condominio soffrisse di genericità.
Inammissibile anche il secondo motivo di ricorso. La corte d'appello, pur ritenendo nuova la domanda volta a fare accertare la violazione dell'art. 3 del regolamento di condominio, non ha ravvisato alcuna violazione, per cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ma idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'infondatezza delle censure mosse le rende inammissibili.
Per quanto riguarda i restanti due motivi di ricorso, la Suprema Corte ha giudicato infondato il quarto, nel quale i ricorrenti sostenevano che la domanda riferita all'attività di ristorazione e alla somministrazione di alimenti e bevande non era nuova, perché implicita nella domanda con cui fu richiesta l'inibizione di ogni altra attività contraria alla tranquillità degli abitanti del Condominio. Le considerazioni che hanno indotto la Corte d'Appello a non impartire ordini volti a inibire destinazioni future, per la presenza di nuovi affittuari estranei alla lite, erano pertinenti anche rispetto alla domanda riferita all'attività pe ristorazione, che subisce la stessa sorte.
Infondato anche il quinto motivo, inerente l'omissione di pronuncia sulla richiesta di condanna al pagamento di euro 1.000,00 o della somma ritenuta equa per ogni giorno di ritardo di inadempimento al provvedimento del collegio, in quanto la norma di cui la Corte di merito non avrebbe fatto applicazione è stata introdotta dall'art. 49, comma 1, della I. n. 69 del 2009, con effetto dal 4 luglio 2009 per i giudizi instaurati dopo tale data, mentre il giudizio è stato instaurato nel 2007.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

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