Condominio

Infiltrazioni tra i piani, va chiarito di chi sono i tubi

di Valeria Sibilio

Le problematiche relative all'impianto idrico sono tra le più frequenti e, spesso, sfociano in cause giudiziarie legate all'individuazione della natura condominiale dell'impianto stesso ed al criterio discretivo tra le parti comuni od esclusive che, nella giurisprudenza, è sempre quello della destinazione d'uso della singola tubatura collegata all'impianto idrico. Un aspetto certificato dal Tribunale di Palermo nella sentenza 1728 del 2018. All'esame del giudizio, l'appello proposto da un Condominio contro la sentenza del Giudice di Pace di Palermo che aveva rigettato l'opposizione proposta contro il decreto ingiuntivo, emesso in favore della Ditta esecutrice di lavori all'impianto idrico, per il pagamento della somma di euro 427,65 oltre interessi dal 28 novembre 2013, condannandolo, inoltre, al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 500,00, oltre iva e rimborso spese generali come per legge.
L'appellante chiedeva, perciò, la riforma di tale sentenza (perché l’impianto non sarebbe stato di sua proprietà ma condominiale) e la revoca del decreto ingiuntivo in quanto il Giudice di prime cure avrebbe omesso la statuizione relativa all'accertamento dei requisiti di certezza e liquidità del credito, necessari ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo. Una omissione che interessava anche la quantificazione del credito oggetto dell'ingiunzione di pagamento, per la quale non sarebbe stata fornita alcuna prova in seno al giudizio di opposizione. Inoltre, lo stesso Giudice avrebbe omesso di verificare se le opere eseguite dalla ditta convenuta avessero riguardato o meno parti comuni dell'edificio e, conseguentemente, fossero o meno imputabili al condominio. Non solo, ma per il Condominio, il Giudice di Pace avrebbe violato gli artt. 115 e 116 c.p.c. per aver rigettato la richiesta di consulenza tecnica finalizzata ad accertare se i lavori svolti dalla Ditta fossero riferenti alla colonna di scarico condominiale, o, piuttosto, alle tubature di proprietà esclusiva ed avrebbe valutato erroneamente le prove orali, limitandosi a confermare l'effettivo svolgimento dei lavori senza dimostrarne il corretto espletamento.
La parte convenuta, costituendosi, chiedeva, a sua volta, il rigetto delle domande formulate e la conferma della sentenza impugnata, deducendo la totale infondatezza e carenza di prova dei motivi di gravame.
Il Tribunale accoglieva l'appello giudicandolo fondato e chiarendo che, nell'individuazione dei confini tra quelli di proprietà comune e quelli di proprietà esclusiva dei singoli condòmini, la presunzione di comunione dell'impianto idrico di un immobile in condominio non può estendersi a quella parte dell'impianto stesso ricompresa nell'ambito dell'appartamento dei singoli condòmini, e nemmeno alle diramazioni che, innestandosi nel tratto di proprietà esclusiva, anche se allacciato a quello comune, servono ad addurre acqua negli appartamenti degli altri condòmini. (Cass. civ., 23.07.1963, n.. 2043). Dunque, il criterio discretivo tra parti comuni e parti esclusive è quello della destinazione d'uso della singola tubatura, collegata all'impianto idrico, escludendo dalla proprietà condominiale l'elemento di raccordo tra la tubatura verticale di pertinenza del singolo appartamento e quella verticale di pertinenza condominiale.
Pur risultando provato l'intervento di riparazione della Ditta appellata, il Giudice di Pace non si era espressamente pronunciato sulla pertinenza, condominiale o esclusiva della tubatura riparata, limitandosi a considerare accertato che la tubatura fosse di uso e godimento comune, e che, dunque, la relativa obbligazione sorta dalla prestazione d'opera resa dalla ditta appellata fosse imputabile all'intero Condominio, non tenendo conto del fatto che dall'attività istruttoria espletata era emerso come, in realtà, il tratto di tubatura riparata fosse di uso e pertinenza esclusiva degli appartamenti posti al secondo e terzo piano dell'edificio, come testimoniato dall'amministratore del condominio che aveva richiesto, con urgenza, l'intervento della ditta, sollecitato dall'inquilina dell'appartamento sito al piano secondo dell'edificio, per la fuoriuscita di liquami provenienti dall'appartamento posto al terzo del medesimo edificio, specificando che tra i due condòmini erano insorte questioni sulla ripartizione delle spesa tali da indurli a non pagare l'operato della ditta intervenuta la quale chiedeva il pagamento al condominio. Da qui, l'erroneità della pronuncia del giudice di prime cure nella parte in cui fonda la pretesa creditoria della ditta appellata nei confronti del condominio sulla natura straordinaria delle spese urgenti assunte dall'amministratore senza preventiva approvazione dell'assemblea dei condòmini. Sebbene sia corretto il ragionamento, in forza del quale le spese straordinarie e di comprovata urgenza sono rimborsabili all'amministratore anche in mancanza di preventiva approvazione o ratifica assembleare, nel caso di specie tale natura straordinaria risultava smentita dalle dichiarazioni rese in sede di audizione testimoniale e dalla ubicazione e funzione del tratto di colonna interessato dai lavori, di pertinenza esclusiva delle unità immobiliari poste al secondo e al terzo piano dell'edificio condominiale.
Il tribunale, perciò, accoglieva l'appello limitatamente al secondo motivo di gravarne, relativo alla carenza di titolarità effettiva del Condominio appellante in ordine alla pretesa creditoria avanzata nel procedimento monitorio, riformando la sentenza di primo grado, revocando il decreto ingiuntivo e compensando integralmente le spese di lite relative a entrambi i gradi di giudizio.

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