Condominio

Va rimossa la tettoia applicata al balcone

di Marco Panzarella e Matteo Rezzonico

Chi posiziona una tettoia ancorandola al frontalino del balcone aggettante, appartenente al condomino del piano di sopra, è tenuto a rimuovere il manufatto e pagare un risarcimento danni. La tettoia, infatti, oltre ad essere ricettacolo di polvere, sporcizia, nonché strumento di appoggio per volatili e mezzo per l'accesso di eventuali malintenzionati all'appartamento sovrastante, essendo una costruzione rende applicabile l'articolo 907 del Codice civile. Questo, in estrema sintesi, il contenuto della sentenza del Tribunale di Roma 28 settembre 2018, n. 1833 . Nel caso in oggetto, il condomino ricorrente, con azione possessoria, ha accusato il proprietario dell'alloggio sito al piano di sotto di avere realizzato opere «tali da turbare il pacifico possesso e godimento di porzioni di proprietà esclusiva e comune, integrando molestia e fonte di pericolo». Nello specifico, una tettoia e una sirena dell'impianto di allarme, entrambe posizionate sul frontalino del balcone aggettante.
Il tribunale capitolino ha osservato come i balconi aggettanti, ossia quelli che sporgono dalla facciata dell'edificio, costituiscano solo un prolungamento dell'appartamento dal quale protendono e non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell'edificio, non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani. Di conseguenza, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono.
I frontalini in questione, inoltre, risultano spogli, privi di qualsiasi fregio o decorazione e dunque sono da ritenersi di proprietà esclusiva. Al contrario, potevano essere considerati di proprietà comune qualora avessero avuto una finalità meramente decorativa, tale da conferire allo stabile, insieme alla facciata, quel decoro architettonico che costituisce bene comune dell'edificio,
Appurata la natura “privata” del balcone, secondo il giudice «…è palese che la tettoia, sia quella installata sulla parete condominiale, sia quella installata direttamente sul frontalino del balcone sono fonte di pregiudizio per il vicino, e non solo per la netta limitazione della veduta. Le tettoie, per la loro stessa conformazione, costituiscono potenziale ricettacolo di polvere, sporcizia ed appoggio per volatili». La Consulenza tecnica d'ufficio, inoltre, ha provato come la tettoia costituisca «…un pericolo per la sicurezza» in quanto offre ai malintenzionati «una più agevole via di accesso all'appartamento». Riguardo alla sirena d'allarme posta sul frontalino, trattandosi di balcone aggettante è considerato un elemento di proprietà esclusiva, «oltre allo sgradevole impatto estetico e alla sporgenza dal perimetro del balcone di parte attrice, costituisce una potenziale fonte di forti rumori e luci che ben avrebbe potuto trovare collocazione in una posizione di minore incomodo per il vicino».
Il tribunale ha invece rigettato la richiesta dell'attrice di rimuovere la tenda installata dal condomino sottostante, ancorata alla facciata dell'edificio. La consistenza della medesima - spiega il giudice - in materiale leggero e non rigido, e la sua retraibilità, impediscono di considerarla una costruzione. Inoltre, non si può vietare di installare «una tenda di tela scorrevole con comando a manovella, pure se situata a distanza inferiore a tre metri dal balcone o dalla finestra del piano sovrastante, ancorché siano necessari per farla funzionare dei sostegni fissi, atteso che tale tenda, non pregiudica permanentemente la “prospectio” ne' diminuisce l'aria e la luce al condomino del piano sovrastante (…). Sotto altro profilo, l'esistenza della tenda, anche quando aperta, non determina pericolo alcuno per la sicurezza, essendo visibilmente inidonea a sostenere il peso di una persona».
Il tribunale ha accolto la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla ricorrente in quanto «la molestia e lo spoglio costituiscono atti illeciti che ledono il diritto soggettivo del possessore alla conservazione della disponibilità materiale della cosa ed obbligano chi li commette al risarcimento del danno». Per quantificare il danno il giudice ha applicato un criterio equitativo, facendo riferimento all'ipotetico canone locativo ritraibile dalla locazione dell'immobile nel libero mercato e determinando in quale misura percentuale lo stesso canone avrebbe potuto essere abbattuto a causa dell'esistenza dei manufatti illegittimi. Nel caso in esame, è stato stimato un canone mensile di 1000 euro, ricavabile da una consultazione dei siti internet specializzati. «Le limitazioni di godimento - scrive il giudice - possono ripercuotersi sul canone che potrebbe essere ottenuto ponendo l'immobile sul mercato delle locazioni determinandone una riduzione del 3%, e dunque di € 30 per mese. Ne deriva che, moltiplicando € 30 per i 71 mesi trascorsi dall'ottobre 2012 (data diffida) ad oggi, il risarcimento dovuto a parte attrice per la temporanea compressione del possesso può essere quantificato in € 2.130 al valore attuale».

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