Condominio

Per usucapire i beni comuni occorre comportarsi da veri proprietari

di Paolo Accoti

Premesso che il coerede, prima della divisione, può legittimamente avanzare domanda di usucapione della quota degli altri coeredi, a tal proposito, non basta evidenziare come gli altri comunisti si siano astenuti dall'uso del bene, quanto piuttosto la volontà di possedere come se si fosse proprietari del bene medesimo (uti dominus), e non più quale condomino (uti condominus), essendo il coerede già compossessore della cosa, pertanto, non è tenuto a dimostrare l'interversione del possesso ma solo l'estensione esclusiva dello stesso.
In altri termini, è necessaria la prova che l'usucapente abbia goduto del bene in modo inconciliabile con il godimento altrui, impedendo agli altri comproprietari ogni atto di fruizione o di gestione.
A questo proposito, in caso di insanabile contrasto tra le deposizioni testimoniali sui fatti costitutivi della domanda, tale incertezza del quadro probatorio ricade in danno della parte sulla quale grava l'onere della prova, con la conseguenza che, in tali ipotesi, appare inevitabile il rigetto della domanda di usucapione.
Fermo restando che, a monte, è necessario produrre in giudizio il titolo di proprietà del defunto, accertamento che può ritenersi compiuto solo mediante il deposito della certificazione notarile ovvero del Conservatore dei Registri Immobiliari, contenente l'indicazione delle trascrizioni, a favore e contro, sui beni oggetto della domanda di usucapione.
Questi i principi ribaditi dal Tribunale di Cassino, nella sentenza pubblicata in data 31 Ottobre 2018.
La vicenda prende le mosse da alcuni coeredi che convenivano in giudizio l'altra comproprietaria del bene ereditario, al fine di sentire dichiarato lo scioglimento della comunione avente ad oggetto un fabbricato urbano.
Si costituiva in giudizio la coerede, spiegando domanda riconvenzionale di usucapione, per avere la stessa posseduto i beni dell'asse ereditario in via esclusiva, a seguito della morte del comune padre.
All'esito dell'istruttoria, il Tribunale di Cassino, emetteva sentenza in relazione alla domanda riconvenzionale di usucapione, ritenuta pregiudiziale rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, in virtù del fatto che, in caso di accoglimento di tale domanda, sarebbero venuti meno i presupposti della comunione.
La Corte territoriale ricorda che, ai fini dell'usucapione di beni comuni, «non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, occorrendo che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, e ciò in quanto il coerede, che è già compossessore animo proprio ed a titolo di comproprietà, non è tenuto ad un mutamento del titolo, ma solo ad un'estensione dei limiti del suo possesso. Si è poi sottolineato che ai fini della prova dell'usucapione del bene in comunione non è sufficiente che l'istante abbia compiuto atti di gestione consentiti al singolo comproprietario, oppure atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa comune ovvero per la sua manutenzione, non possono dar luogo ad un'estensione del possesso, occorrendo, al contrario, la prova che il comproprietario usucapente ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare, al di fuori di una possibile altrui tolleranza, un'inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri comproprietari ogni atto di godimento, o di gestione (vedi Cass. n. 14171/2007; Cass. n. 10294/1990; Cass. n. 2944/1990)».
Dall'esame delle deposizioni testimoniali, tuttavia, è emerso un evidente, oltre che inconciliabile, contrasto in relazione al possesso effettivo del bene comune e, a tal proposito, «osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora il giudice del merito ritenga sussistere un insanabile contrasto tra le deposizioni testimoniali sui fatti costitutivi della domanda, fondando tale convincimento non sul rapporto numerico dei testi, ma sul dato oggettivo di detto contrasto, ritenuto ostativo al raggiungimento della certezza necessaria alla decisione, e, reputi non superabile il contrasto sulla scorta delle ulteriori risultanze istruttorie documentali, inidonee a dimostrare la fondatezza della domanda, l'insufficienza del quadro probatorio ricade in danno della parte sulla quale grava l'onere della prova comportando, conseguentemente, il rigetto della domanda da questa proposta (Cass. n. 4773/2015)».
Senza dimenticare come l'usucapente, sul quale grava il relativo onere probatorio, non ha neppure dimostrato la proprietà del bene in capo al defunto padre, atteso che «sarebbe, invece, stato necessario produrre, ai fini della prova della proprietà del diritto, oltre al titolo di provenienza in favore del de cuius degli immobili per cui è causa, altresì, regolare certificazione notarile (ovvero rilasciata direttamente dal Conservatore dei Registri Immobiliari) contenente l'indicazione delle trascrizioni, a favore e contro, sui beni oggetto della domanda di usucapione, a far tempo dalla data dell'acquisto di tale cespite da parte del de cuius fino a quella di apertura della successione, nonché di quelle contro i successori a far tempo dalla data di apertura della successione fino a quella di trascrizione della domanda, ovvero di instaurazione del presente giudizio, poiché, solamente attraverso tale documentazione è possibile verificare se un determinato bene sia ancora di proprietà del de cuius e, dunque, delle parti al momento della proposizione della domanda di usucapione proposta nell'ambito del giudizio per lo scioglimento di comunione ereditaria».
In definitiva, quindi, la domanda riconvenzionale di usucapione deve essere rigettata e la causa rimessa sul ruolo per la definizione della domanda di scioglimento della comunione.

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