Condominio

Danni dalla condotta comunale, le regole per presentare le prove

di Valeria Sibilio

Le problematiche relative a domande di risarcimento, per danni arrecati ad immobili, sono tra le più frequenti nell'universo condominiale. Dalla sentenza della Cassazione 30192 del 2018 è emerso quanto siano fondamentali, in sede giurisprudenziale, le tempistiche nel deposito degli elementi probatori nel possibile esito positivo di un ricorso.
La sentenza trae origine dal ricorso, dinanzi al Tribunale di Napoli, di un gruppo di condòmini nei confronti del Comune, i quali proponevano domanda di risarcimento dei danni arrecati, all'immobile di loro proprietà, dall'infiltrazione di acqua proveniente dalla condotta idrica comunale a seguito della rottura di una chiave di arresto che aveva provocato crepe e dissesto dell'intero fabbricato.
Il Comune chiedeva il rigetto di tale domanda, sostenendo che la perdita di potenza statica dell'edificio era dovuta alla mancanza di adeguate strutture portanti e domandava l'autorizzazione a chiamare in causa la compagnia assicuratrice per la propria responsabilità civile. Quest'ultima, nel costituirsi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda svolta nei suoi confronti, rilevando la mancanza di copertura assicurativa per il sinistro, escluso dalla garanzia contrattuale.
Il Tribunale condannava il Comune a risarcire, agli attori, la somma di euro 116.082,01, oltre a interessi, e rigettava la domanda di garanzia spiegata nei confronti della compagnia assicuratrice. La Corte di Secondo Grado, a seguito dell'appello proposto dal Comune, riformava parzialmente la precedente sentenza, limitando la responsabilità dell'Istituto Municipale per l'evento lamentato al 10% della responsabilità totale ed al pagamento, in favore degli appellati, dell'importo del 10% di quanto statuito in primo grado. Inoltre condannava questi ultimi al pagamento del 90% di quanto liquidato a titolo di compenso e rimborsi spese delle due consulenze tecniche d'ufficio disposte nei diversi gradi di giudizio. Il Comune veniva condannato al rimborso delle spese del grado sostenute dalla Compagnia assicuratrice ed al rimborso di un terzo delle spese processuali sostenute dai condòmini per il primo grado i quali, tuttavia, dovevano corrispondere al Municipio i due terzi delle spese processuali.
Nel merito, la Corte d'appello affermava, dopo ulteriore perizia tecnica, che il fabbricato aveva avuto un cedimento per assestamento pienamente coerente con l'insufficienza strutturale delle fondazioni dell'edificio. Da un lato, una perdita d'acqua dalla rete idrica non è circostanza imprevedibile da parte del proprietario della stessa e, dall'altro, il lieve dissesto del fabbricato si era verificato proprio in corrispondenza del locale d'ispezione in cui alloggiava la valvola usurata sostituita.
I condòmini impugnavano tale sentenza, proponendo ricorso per Cassazione affidato a dodici motivi ai quali resisteva la Compagnia assicuratrice. Con successivo autonomo ricorso, basato su quattro motivi, il Comune impugnava la stessa sentenza alla quale resisteva la compagnia assicuratrice.
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentavano l'esame scorretto della Corte nel aver affermato che, nei giorni precedenti alla rottura del dispositivo di arresto dell'alimentazione idrica, non si erano manifestate infiltrazioni o fuoriuscite di acqua in alcun altro locale vicino all'immobile danneggiato. Con gli altri undici motivi, lamentavano l'errata interpretazione da parte della Corte territoriale per aver ritenuto provate, nonostante la consulenza tecnica d'ufficio e le osservazioni del consulente di parte e della difesa degli appellati, circostanze indimostrate come la fuoriuscita di acqua non in pressione e la conseguente impossibilità di modifica delle caratteristiche di resistenza del suolo, l'insufficienza strutturale delle fondazioni, la circostanza che le lesioni alle giunture del fabbricato si fossero presentate nuovamente, la cattiva esecuzione dei giunti e l'esigua durata della perdita, oltre ad aver erroneamente esaminato e valutato le risultanze istruttorie, giungendo ad un giudizio di inattendibilità della tesi della rotazione rigida dell'edificio e ad attribuire alla perdita di acqua il valore di concausa del danno, arbitrariamente determinata nella misura del 10%.
Tutti motivi che, trattati congiuntamente, sono stati ritenuti, dalla Suprema Corte, inammissibili. Nella sentenza impugnata, la Corte territoriale spiegando le ragioni per le quali è stata disposta la rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio ed illustrando dettagliatamente gli elementi di fatto, motivava l'essenziale funzione delle fondazioni di un fabbricato la cui inidoneità e difformità aveva contribuito al dissesto dell'edificio in misura di gran lunga prevalente sulla perdita dalla conduttura. Inoltre, è apparso evidente che, coi propri motivi, i ricorrenti deducano solo apparentemente una violazione di norma di legge, mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e delle prove operata dal giudice di merito, così da realizzare una trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.
Nel proprio primo motivo di ricorso, l'amministrazione comunale deduceva la illegittimità della sentenza sulla base delle indagini espletate in sede di consulenza dalle quali sarebbe emerso che il cedimento delle fondazioni era stato determinato, non dalla perdita d'acqua, ma dalla inidoneità della struttura fondante dell'immobile. Tali elementi, pur presi in esame dalla Corte territoriale, avrebbero dovuto escludere la sussistenza del nesso causale tra il cedimento e la perdita idrica, mentre hanno consentito di attribuire all'amministrazione una responsabilità non superiore al 10%, con errata applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di causalità adeguata. Inoltre, per il Comune, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se quella perdita idrica fosse verosimilmente la causa del cedimento delle fondazioni.
Nel secondo motivo, il ricorrente deduceva l'illegittimità della sentenza in quanto la Corte avrebbe omesso di considerare che il comportamento del danneggiato può integrare il caso fortuito incidentale, mentre nel terzo motivo, relativo alla domanda di garanzia impropria proposta dall'amministrazione comunale nei confronti della Compagnia assicurativa, la Corte si sarebbe limitata ad evidenziare che l'articolo 17, lettera I esclude espressamente dall'assicurazione i danni causati da perdite idriche sotterranee. Secondo le condizioni speciali che integrano le norme assicurative, la garanzia comprende i danni da erogazione di acqua alterata. Trattandosi di servizio pubblico, la copertura deve riferirsi a tutto ciò che non è espressamente escluso dalle condizioni speciali. Nel quarto ed ultimo motivo il ricorrente lamentava che il contenuto dell'articolo 17 sarebbe in contrasto con la condizione speciale del citato articolo 9, con la conseguenza che il contratto avrebbe dovuto essere interpretato nel senso più sfavorevole all'assicuratore.
Per gli ermellini, il ricorso è stato giudicato inammissibile per tardività e non poteva essere convertito in ricorso incidentale. In tema di processo litisconsortile, in virtù del principio di unità dell'impugnazione, il ricorso proposto irritualmente in forma autonoma da chi, ai sensi degli artt. 333 e 371 c.p.c., avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, per convertirsi in quest'ultima deve averne i requisiti temporali, onde la conversione risulta ammissibile solo se la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell'impugnazione principale.
Né la decadenza conseguente all'inosservanza di detto termine può ritenersi superata dall'eventuale rispetto del termine “esterno” di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., giacché la tardività o la tempestività, in relazione a quest'ultimo, assume rilievo ai soli fini della determinazione della sorte dell'impugnazione stessa in caso di inammissibilità di quella principale, ex art. 334 c.p.c.. L'impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell'unico processo nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte le eventuali impugnazioni successive della stessa sentenza. Il ricorso proposto irritualmente in forma autonoma da chi avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, per convertirsi in quest'ultima, deve averne i requisiti temporali e può essere resa ammissibile solo se la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell'impugnazione principale. Nel caso in esame, il termine per proporre il ricorso incidentale scadeva il 12 gennaio 2015, mentre l'atto del Comune risultava tardivamente notificato il 10 marzo 2015.
Ai fini della conoscenza legale della sentenza e della decorrenza del predetto termine “breve”, la notificazione di un'impugnazione è equipollente alla notificazione della sentenza stessa, sia per la parte notificante, sia per la parte destinataria, anche in caso di impugnazione inammissibile. Nella fattispecie, il ricorso proposto dai condòmini è stato notificato al Comune in data 1° dicembre 2014 per cui il termine di 60 gg ex art. 325 cod. proc. civ. era fissato al 30 gennaio 2015 e, quindi, ad una data anteriore a quella in cui è stata effettivamente eseguita la notifica del ricorso per cassazione del Comune (10 marzo 2015).
Sulla ritualità degli atti difensivi il procedimento era stato rinviato per la trattazione in pubblica udienza la fine di verificare quella relativa al controricorso della Compagnia assicurativa volto a contraddire il ricorso principale dei condòmini. A norma dell'art. 370 cod. proc. civ. il controricorso deve essere notificato al ricorrente entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso e, in mancanza di tale notificazione, il controricorrente non può presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale. Le copie analogiche della relazione di notificazione e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna prodotte dal difensore della compagnia assicuratrice, al momento del deposito del controricorso non erano munite di attestazione di conformità con sottoscrizione autografa. Nella disciplina normativa della notifica telematica, l'avvocato deve provvedere ad estrarre copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e, poi, ad attestarne la conformità ai documenti informatici da cui le copie sono tratte. Le copie su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Quando non sia fatto con modalità telematiche, va data prova mediante il deposito, in formato cartaceo, con attestazione di conformità ai documenti informatici da cui sono tratti, del messaggio di trasmissione a mezzo PEC, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna.
Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità sia nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui non ne abbia disconosciuto la conformità all'originale notificatogli.
Se il destinatario della notificazione rimane solo intimato, il ricorrente può depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica depositata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio, altrimenti il ricorso è dichiarato improcedibile. Nel caso in cui il destinatario della notificazione depositi il controricorso e disconosca la conformità all'originale della copia analogica deve essere onere del ricorrente depositare l'asseverazione di legge circa la conformità della copia analogica depositata, all'originale notificato. In caso contrario, il ricorso è dichiarato improcedibile. Nell'ipotesi in cui vi siano più destinatari della notificazione e non tutti depositano controricorso, il ricorrente è onerato di depositare l'asseverazione. In difetto, il ricorso è dichiarato improcedibile. Nel caso in esame, i problemi di ritualità del deposito del controricorso sono superati sia dal mancato disconoscimento del controricorso della compagnia assicuratrice da parte dei ricorrenti, ai quali il ricorso è stato ritualmente notificato, sia dal deposito in udienza della dichiarazione di asseverazione della notifica e dell'accettazione a mezzo PEC.
La Cassazione ha, perciò, dichiarato sia il ricorso proposto sia dai condòmini che dal Comune inammissibili, condannandoli al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate in euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, ponendo le spese del giudizio a carico dei ricorrenti in virtù della soccombenza.

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