Condominio

Niente risarcimento del danno ambientale se l’impresa ha cessato l’attività

di Giulio Benedetti

È negato il risarcimento del danno ambientale provocato dall'impresa che ha cessato l'attività produttiva. Il problema investe moltissimi condomìni che sono sorti su quartieri ex i dustriali dove le imprese hanno lasciato depositi inquinanti e dove i costruttori non si siano preoccupati della bonifica.
La perdurante crisi economica che attanaglia il nostro mondo produttivo ha cambiato il panorama delle nostre città le quali sono sempre più interessate da aree dismesse dall'attività produttiva. Di fatto è assai facile percorrere notevoli distanze lungo viali nei quali vi sono silenziosi e abbandonati capannoni. Dove un tempo ferveva la nostra economia rimangono mute cattedrali industriali neglette e nei luoghi in cui ribolliva il lavoro vi è solo quiete.
L'idillio è soltanto apparente perché in tali zone non vi sono soltanto resti dell'archeologia industriale , ma anche permangono i rifiuti negletti e provenienti dal lavoro cessato e non sempre è ideale la convivenza tra gli stessi e le abitazioni vicine. A tal riguardo occorre notare che l'art. 300 del d.lgs. n. 152/2006 definisce danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile , diretto o indiretto, di una L'art. 301 attua il principio di precauzione , citato dall'art. 174, paragrafo 2, del Trattato CE, per cui in caso di pericoli anche potenziali per la salute umana e per l'ambiente deve essere assicurato un alto livello di protezione.
La Corte di Cassazione (ord. n. 28742/2018) ha rigettato il ricorso dei proprietari di un lotto di terreno , con fabbricato ad uso abitazione ed un adiacente garage – magazzino, i qual richiedevano il risarcimento del danno ambientale cagionato da un'impresa ubicata su di un fondo attiguo e che si occupava della lavorazione di marmi e di rottami. I ricorrenti esponevano che l'impresa aveva avuto un picco di attività nel 1996 e che da tale data si erano verificate immissioni intollerabili nelle loro proprietà con rumore e polveri: l'ARPAV aveva constatato la sussistenza di rumori superiori a quanto consentito dalla normativa vigente (il d.p.c.m. 14 -11- 1997). Il Tribunale accoglieva la loro domanda e condannava l'impresa al risarcimento del danno cagionato dal minore valore dell'immobile dei ricorrenti e del danno esistenziale. La Corte di Appello rigettava l'appello proposto dai ricorrenti , accoglieva quello dell'impresa e rigettava la domanda di risarcimento del danno per deprezzamento dell'immobile e compensava le spese dei due gradi di giudizio. I ricorrenti contestavano che la Corte di Appello, pur in presenza del fatto accertato della violazione delle norme sull'inquinamento acustico , non avesse riconosciuto in loro favore il diritto al risarcimento di un danno patrimoniale permanente. La Corte di Cassazione rigetta tale motivo di ricorso in quanto la Corte di Appello escludeva legittimamente la sussistenza di un danno patrimoniale per il deprezzamento dell'immobile sulla base della mancata deduzione di specifiche circostanze che potessero dimostrare detto deprezzamento da valutare retroattivamente poiché la predetta impresa nel frattempo aveva cessato la sua attività. La Corte di Cassazione pertanto condivide l'assunto del giudice di appello il quale , in relazione al danno esistenziale, rilevava come il tribunale avesse accertato la totale assenza di allegazioni , a parte un generico accenno alla compromissione alla serenità della vita familiare , ed avesse evidenziato il mutamento id rotta operato in corso di causa dai ricorrenti per avere allegato un danno biologico – psichico, mediante la produzione di una sommaria relazione medica inerente ad una ricorrente, e manteneva inalterata la richiesta risarcitoria riferita al danno esistenziale. La Corte di appello rilevava che nell'atto di appello i ricorrenti non avevano formulato alcuna censura nei confronti la motivazione del tribunale , limitandosi ad affermare che tale danno alla salute si traduce in uno stato psico – fisico che è riconducibile all'inquinamento acustico anche senza necessità di prova effettiva ed è quantificabile quale danno esistenziale che lo stesso tribunale ha indicato come tale. La Corte di Appello non condivideva la liquidazione del danno operata dal Tribunale in via equitativa poiché la stessa era svincolata da concreti sostegni e da indagini di mercato circa la sussistenza di un effettivo deprezzamento e sulle relative cause in relazione all'intero contesto ambientale ed urbanistico. Invero la liquidazione equitativa può essere effettuata quando sia stato già assolto l'onere della parte di dimostrare sia la sussistenza , sia l'entità materiale del danno e non esonera la parte interessata dall'onere , ai sensi dell'art. 2697 c.c., di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto di cui il giudice possa disporre affinchè l'apprezzamento equitativo sia ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno. La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che l'esercizio discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa , conferito dagli articoli 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere dell'art. 115 c.p.c., dà luogo non a un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dall' equità giudiziale correttiva od integrativa , la quale presuppone che sia provata l‘entità di danni risarcibili. Non è possibile surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione del danno nella sua esistenza. Per quanto riguarda la liquidazione del danno esistenziale la Corte di Cassazione afferma che non è liquidabile se il danno non è dedotto in modo sufficientemente specifico . Inoltre l'assenza di un danno biologico documentato non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite , allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti e tutelati dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo , la cui prova può essere fornita con presunzioni . Tuttavia la Corte di Cassazione afferma, con giurisprudenza costante , che in mancanza di allegazione dell'esistenza del danno esistenziale non può procedersi alla liquidazione di un danno non dedotto. Quindi il danno esistenziale non può essere considerato “in re ipsa”, ma deve essere provato e deve consistere nel radicale cambiamento di vita , nell'alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto. Quindi la relativa allegazione deve essere circostanziata e deve riferirsi a fatti precisi e specifici e non può risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto , eventuale ed ipotetico.

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