Condominio

L'amministratore condominiale non risponde del crollo di una parte privata

di Giulio Benedetti

L'art. 677, comma terzo, c.p. sanziona penalmente il proprietario di un edificio o di una costruzione ,ovvero chi per lui è obbligato alla sua conservazione o alla vigilanza, che minacci rovina con pericolo alle persone. Spesso in tali casi i sindaci emettono nei confronti dei predetti soggetti ordinanze contingibili ed urgenti, la cui violazione è sanzionata penalmente, che impongono l'adozione dei provvedimenti urgenti per eliminare il pericolo di crollo.
La dottrina prevalente raffigura nell'amministratore non soltanto il soggetto deputato , ai sensi dell'art. 1130 c.c., alla custodia delle parti comuni, affinché ne sia assicurato il sicuro godimento nell'interesse dei còndomini, ma parimenti il loro custode . In tale contesto lo stesso non solo risponde del danno , ai sensi dell'art. 2051 c.c., cagionato dalla cosa incustodita se non prova il caso fortuito, ma pure è il garante della sicurezza del condominio secondo il disposto dell'art. 40 , capoverso , c.p. Tale norma afferma che chi ha il dovere di impedire un evento , se non lo fa, ne risponde come se lo avesse cagionato. Tuttavia in detta materia non sussiste una responsabilità oggettiva dell'amministratore per la quale risponda sempre e comunque del crollo avvenuto nel condominio.
Tale principio è contenuto nella sentenza n. 16894/2018 della Corte di Cassazione la quale afferma che per individuare il soggetto obbligato alla messa in sicurezza delle parti pericolanti in un condomino occorre esaminare la titolarità del diritto di proprietà delle stesse e della relativa posizione di garanzia. Per cui , se nel caso trattato , con riferimento alla copertura dell'edifico condominiale , rientrante nelle parti comuni, il dovere di ripristino e di eliminazione dello stato di pericolo grava sulla collettività condominiale, non altrettanto può dirsi per quanto verificatosi all'interno della singola unità dell'edificio. Nella parte privata deve rispondere , verso il conduttore o verso altri terzi, il proprietario locatore, qualora non intervenga ad eliminare il pericolo . L'art. 1576 c.c sostiene che tutte le riparazioni necessarie per il mantenimento della cosa locata sono a carico del locatore e non già del conduttore, il quale ha soltanto l'onere, per l 'art. 1583 c.c., di non opporsi alla loro esecuzione.
Nel condominio se è vero che per l'art. 1130 c.c. l'amministratore deve erogare le spese da destinare alla manutenzione ordinaria ed alla conservazione delle parti comuni dell'edificio , dovere che si estende anche al potere di ordinare l'esecuzione dei lavori urgenti di manutenzione straordinaria , ex art. 1135 c.c. , tuttavia il singolo condominio non è esentato da responsabilità per la sola presenza delle attribuzioni conferite dalla legge all'amministratore. Invero detto potere di intervento grava su ogni condòmino quando l'amministratore sia impedito ad intervenire per la mancanza di fondi o per altre cause a lui non imputabili. Invece l'obbligo di intervento grava unicamente sul singolo condòmino quando il pericolo interessi soltanto la sua proprietà individuale o si realizzi nel suo perimetro interno ed imponga un' immediata rimozione delle conseguenze del deterioramento edilizio con l'eliminazione di parti non strutturali o di rivestimento che minaccino distacco e precipitazione al suolo, oppure con l'interdizione dell'utilizzo o dell'accesso all'immobile.
Tale obbligo prescinde dalla realizzazione dei lavori più impegnativi , dispendiosi e complessi sul piano esecutivo , burocratico o finanziario , necessari per rimuovere la causa del pericolo o delle rovina che , coinvolgendo la ristrutturazione la copertura del fabbricato ed il rifacimento delle parti strutturali competono alla comunione condominiale. La Corte di Cassazione (sent. n. 44967/2018) ha affermato che negli edifici che minacciano rovina, per andare esenti da responsabilità, per il proprietario è sufficiente intervenire sugli effetti anziché sulla causa della rovina, prevenendo la situazione di pericolo indicata dalla norma incriminatrice con opere provvisorie ed urgenti , oppure interdicendo, ove sia possibile , l'accesso ed il transito alle zone pericolanti.
Infine la Corte di Cassazione (sent n. 50444/2018) sostiene che nel concorso di violazione delle norme degli articoli 650 e 677 c.p., secondo il principio di sussidiarietà, prevale l'ultima norma che sanziona in modo specifico la condotta di chi , essendo proprietario di una costruzione che minaccia rovina o di chi per lui sia tenuto alla conservazione o alla vigilanza , omette di realizzare i lavori necessari per rimuovere il pericolo per le persone. Invero l'art. 677 c.p. , in ossequio alla clausola di riserva dell'art. 650 c.p. (se il fatto non costituisce più grave reato), esclude la possibilità del concorso con il primo più grave reato che risulta prevalente, in quanto tutela direttamente l'incolumità delle persone. Giulio Benedetti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©