Condominio

Accertamento sugli spazi comuni, tutti i proprietari sono chiamati in giudizio

di Selene Pascasi

Amministratore e singolo condomino possono agire in giudizio per rivendicare il bene comune senza necessità di estendere il contraddittorio a tutti i proprietari. Ciò, salvo che il convenuto non si limiti a contestarne la titolarità esclusiva ma si attivi, a sua volta, per chiedere al giudice di chiarirne l'appartenenza.
In tale ipotesi, ampliandosi il tema della questione, non si potrebbe non rendervi partecipi tutti i comproprietari, pena la nullità della decisione resa senza il loro intervento. A sancirlo è la Corte di cassazione con ordinanza n. 24889 dello scorso 9 ottobre (relatore Grasso) . Il caso è stato sollevato da un amministratore condominiale che, citata la ditta costruttrice dello stabile, proprietaria di alcune unità, domanda al tribunale di accertare la natura comune di alcuni spazi destinati alla manovra delle auto, a suo avviso indebitamente recintati e locati dalla società. Ma questa si difende: l'amministratore non era legittimato a muoversi senza autorizzazione assembleare e, comunque, quegli spazi non erano stati mai venduti o riconosciuti come comuni. Pretendeva, quindi, che se ne accertasse la proprietà esclusiva.
Nel giudizio, però, si insinua il titolare di un appartamento che rafforza le ragioni dell'amministratore e il tribunale, pur sancita la contestata carenza di legittimazione attiva del gestore, accoglie le mozioni del condominio e del condomino stesso. Impugnata da più parti la sentenza del tribunale, la Corte di appello dichiara la nullità della pronuncia per difetto di integrazione del contraddittorio con tutti i condòmini dell'edificio dove erano situati gli spazi oggetto di lite.
Di qui il ricorso per cassazione che – sulla scia di un consolidato orientamento di legittimità (ribadito dalla Cassazione civile con ordinanza 6649/2017) – ricorda come qualora un condomino, convenuto dall'amministratore per il rilascio di uno spazio di proprietà comune occupato senza averne alcun titolo, agisca in via riconvenzionale per ottenere l'accertamento della proprietà esclusiva su tale bene, il contraddittorio debba ampliarsi a tutti i condòmini, incidendo la contro domanda sull'estensione dei diritti dei singoli. E nella fattispecie, la società convenuta aveva, in via riconvenzionale, chiesto l'accertamento della proprietà esclusiva degli spazi, così creando i presupposti per affermare il litisconsorzio necessario tra i condòmini, ai quali, in effetti, il contraddittorio doveva essere esteso.
Era corretta, allora, la scelta dei giudici di appello di sanzionare con la nullità la pronuncia di primo grado. D'altronde, se è vero che ogni proprietario conserva il diritto di proporre le azioni previste dal codice a difesa del bene comune senza che sia tenuto a chiamare in giudizio tutti gli altri condòmini, è anche vero che – evidenzia la Corte di cassazione civile a sezioni unite (sentenza 25454/2013) – quando un singolo si attivi per rivendicare la comunione su di un bene, l'integrazione del contraddittorio si riterrà necessaria soltanto se il convenuto, con apposita domanda riconvenzionale, vada ad eccepirne la proprietà esclusiva. Evenienza – verificatasi nella vicenda – nella quale, ampliato il perimetro decisionale della controversia, era doveroso consentire la partecipazione al giudizio di tutti i condòmini. Questa la logica sottesa al rigetto del ricorso da parte del collegio di Piazza Cavour.

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