Condominio

Ascensore e disabilità: il diritto alla salute prevale sulla tutela del patrimonio artistico

di Roberta Zanino

Il Tar del Lazio con sentenza 9557 del 25 settembre 2018 ha deciso una interessante vicenda che trae origine da un ricorso contro una nota della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del comune di Roma.
Si tratta di una vicenda piuttosto lunga iniziata nel 2012 con una domanda presentata da un privato per la realizzazione di un ascensore nel cortile di un immobile sottoposto a vincolo con decreto ministeriale del 24 gennaio 1955.
La richiedente era ultrasettantenne e pur non essendo affetta da vera e propria disabilità soffriva comunque di difficoltà motorie.
La Soprintendenza diede preavviso di rigetto dopo la presentazione di un ulteriore progetto, emise parere negativo, ritenendo le opere “non compatibili con la tutela dell'edificio”
Tale parere fu annullato dal TAR del Lazio e successivamente anche la sentenza del Consiglio di Stato ebbe uguale esito.
Il supremo organo di giustizia amministrativa osservò che la legge n. 13 del 9 gennaio 1989, “Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, all'art. 1 indica espressamente le opere considerate necessarie per favorire il superamento o eliminare tali barriere (da realizzare obbligatoriamente nella costruzione di nuovi edifici e nella ristrutturazione di interi edifici), tra cui, alla lettera d), “l'installazione, nel caso di immobili con più di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradini”. Ai sensi degli articoli 4 e 5 della medesima legge, qualora la realizzazione di tali interventi avvenga su immobili soggetti a vincolo, la competente soprintendenza è tenuta a provvedere entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni; la mancata pronuncia nel termine equivale ad assenso. L'autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato; il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato.
In altre parole, nella delicata valutazione comparativa tra diversi interessi di forte rilevanza sociale, il legislatore ha ritenuto che gli interventi di natura edilizia volti a favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche, negli edifici privati che sono sottoposti a disposizioni di tutela per il loro particolare interesse paesaggistico o storico artistico, possono essere non consentiti, dalle amministrazioni cui spetta l'esercizio delle funzioni di tutela, solo se recano un serio pregiudizio al bene tutelato. Né è necessario che il richiedente sia riconosciuto invalido agli effetti di legge, essendo sufficiente che egli soffra di una qualche difficoltà motoria anche solo connessa all'età.
Va precisato che il Consiglio di Stato non impose la realizzazione dell'ascensore ma rinviò all'Autorità amministrativa perché motivasse con assoluta precisione il diniego, tenuto conto dei principi detti e della necessità di precisare con chiarezza quale pregiudizio di particolar rilievo derivasse al bene storico- artistico dall'installazione dell'ascensore.
La Sovrintentendenza, in esito alla sentenza, ha nuovamente dato parere negativo, prospettando peraltro l'alternativa della realizzazione di un montascale.
Il Tar, dopo avere scartato tale soluzione ricordando che tale impianto non assicura le stesse funzionalità dell'ascensore, si sofferma ancora sugli interessi in gioco e annulla nuovamente il parere negativo.
Il Tar ricorda due punti fondamentali:
-Il rilievo costituzionale del diritto alla salute è tale che le amministrazioni che esercitano le funzioni di tutela devono compiere un bilanciamento di interessi del tutto diverso da quello operato di solito: esse devono partire dal presupposto che “quando l'intervento edilizio è progettato al fine di eliminare le barriere architettoniche, le amministrazioni di tutela possono ritenere possibili anche interventi in grado di arrecare un pregiudizio (purché non sia rilevante) al bene tutelato e consentire, quindi, anche una parziale alterazione di un bene che altrimenti non potrebbe essere alterato”; un pregiudizio è ammissibile, quindi, purchè non sia di particolare rilevanza e proprio su questo ultimo dato (e non sull'esistenza di un qualsivoglia pregiudizio) deve concentrarsi la motivazione;
-Quest'ultima deve essere necessariamente specifica, contestualizzata rispetto al caso in esame e non richiamare generiche clausole di rispetto del decoro che non consentono di valutare l'effettiva serietà del pregiudizio arrecato al decoro architettonico. Nel caso di specie, il parere si riferiva genericamente alle dimensioni del cortile ove l'ascensore doveva essere posto e all'esistenza di “tracce di graffito” ma senza in alcun modo dare preciso conto della serietà del pregiudizio derivante dall'installazione.
In conclusione, è evidente che la legge n. 13 del 1989 attua il principio costituzionale del diritto alla salute: conseguentemente, deve essere affermata la prevalenza dell'interesse alla protezione della persona svantaggiata di fronte alla tutela del patrimonio artistico, interesse che può soccombere solo in casi eccezionali.
Con l'annullamento del parere, peraltro, l'installazione dell'ascensore non è ancora possibile: la Soprintendenza dovrà nuovamente esprimersi, dando conto analitico della serietà del pregiudizio arrecato al decoro: l'iter (a sei anni dall'inizio…) non è ancora concluso ma i principi affermati assumono grande rilievo anche oltre la singola vicenda.

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