Condominio

Lavori straordinari: senza delibera doc non tutti sono tenuti a pagare

di Selene Pascasi

Valido l'ok ai lavori straordinari solo se – a maggioranza degli intervenuti e di almeno la metà del valore dell'edificio – si decidano le opere da compiere, la ditta cui affidarle e il budget da spendere. Diversamente, scelta dell'impresa e costo delle riparazioni non saranno vincolanti per tutti i condòmini. Lo puntualizza il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1492 del 16 maggio 2018.
Ad aprire la lite sono tre proprietari. A loro avviso, spiegano al giudice, andava dichiarata nulla o comunque annullata la delibera dell'assemblea straordinaria con cui venivano approvati i lavori di ripristino dei danni provocati da una frana allo stabile condominiale. Intanto, per il consolidamento della collina – da intendersi come innovazione – andava acquisito il consenso previsto dal quinto comma dell'articolo 1136 del Codice civile (maggioranza degli intervenuti e almeno due terzi del valore dell'edificio). Scorretta, inoltre, concludono, la spartizione delle relative spese secondo tabelle millesimali, considerato che quegli esborsi erano relativi ad interventi che avrebbero favorito il proprietario del fondo servente.
Era lui, quindi, a doversene far carico. Pronta la difesa del condominio: le riparazioni, precisa, erano state già approvate da passate delibere. Non è questo il punto per il tribunale toscano. Le precedenti decisioni, rileva, riguardavano profili secondari della questione (tipologia dell'incarico da affidare all'impresa esecutrice e vaglio dei preventivi) e non elementi basilari come, per esempio, l'individuazione della ditta cui appaltare gli interventi. Del resto, si ricorda in sentenza, quando si discute dell'approvazione di opere straordinarie «la relativa decisione non può riguardare solo le modalità d'esecuzione dei lavori e l'oggetto dell'appalto, quale il prezzo ed i lavori, ma anche la scelta dell'impresa cui affidare i lavori medesimi la quale dovrà ben specificare i lavori che la medesima si impegna ad effettuare».
Ciò, per un semplice motivo. Per “sbloccare” riparazioni non ordinarie di un fabbricato condominiale, la delibera – da assumersi con la maggioranza descritta dall'articolo 1136, comma quarto, del Codice civile – deve avere come elemento indispensabile «la scelta dell'impresa cui commettere la esecuzione dei lavori, date le rimarchevoli conseguenze, nei riguardi del condominio, ricollegabili alla convenienza ed alla puntuale esecuzione o meno del contratto d'appalto».
Di conseguenza, soltanto una decisione adottata con quella maggioranza e che abbia approvato sia il nominativo dell'appaltatore che gli importi da spendere, potrà vincolare tutti i partecipanti alla comunione (Cassazione civile, sentenza n. 10865/2016). Non sarà indispensabile, tuttavia, riportare nel verbale ogni minimo particolare dell'opera autorizzata, essendo sufficiente che la delibera – sempre integrabile sulla base di accertamenti tecnici da compiersi – ne indichi «gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa». Autorizzazione che “coprirà”, sia ben inteso, ogni altro lavoro per natura «connesso nel preventivo approvato» (Cassazione civile, ordinanza n. 4430/2017).
Così, nella vicenda, selezionata la ditta e accettato il costo dei lavori, restava solo da chiedersi se fosse stata rispettata la maggioranza voluta dal comma quarto dell'articolo 1136 del Codice civile che – per delibere concernenti la ricostruzione dello stabile o le riparazioni straordinarie di notevole entità – richiede un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Risolutiva, sul punto, la circostanza che le opere concordate, seppur complesse, non erano delle innovazioni (come sostenuto dai tre condòmini) perché tese a tutelare la servitù di conduttura del condominio. Per dare l'ok, quindi, non occorreva la soglia qualificata fissata dal comma quinto dell'articolo 1136 del Codice civile. Rilievo che andava a riflettersi sul versante delle spese: se la conservazione della servitù giovava anche (ma non esclusivamente) al proprietario del fondo servente, allora era stata corretta la scelta dell'assemblea di ripartirle in maniera proporzionale ai vantaggi di ciascuno. Queste, ed altre collaterali ragioni, hanno guidato la penna del giudice fiorentino a rigettare le domande formulate dai proprietari e compensare i costi di lite.

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